Il vero nome di quella che si definisce Monarchia ispanica era, in realtà, Monarchia cattolica. Il suo nucleo originario era costituito dai Regni cristiani che, dopo l’invasione musulmana, nacquero nella penisola iberica con l’obbiettivo di restaurare la España perdida. Nel cammino della Reconquista dobbiamo distinguere quello delle Asturie e del León, direttamente collegato al Regno visigotico di Toledo, quello della Castiglia, originato dai Paesi Baschi, e quello di Catalogna ed Aragona, più influenzato dalla romanità, alla frontiera orientale. Da questi nuclei originari si formarono la Corona di Castiglia e quella di Aragona, due regni distinti, ciascuno con proprie istituzioni. Ad essi si aggiunse nel 1512 il Regno di Navarra. La Corona di Aragona si proiettò anche verso il Mediterraneo, e il Regno di Napoli ne diventò la gemma più preziosa. La Corona di Castiglia, dopo aver strappato ai musulmani il Regno di Granada, (1492) nello stesso anno portò il suo spirito di Crociata nelle Indie Occidentali. Il matrimonio tra i Re cattolici, nel 1469, non cancellò l’ordinamento e le specificità di ciascun Regno, e dunque, un unico Regno di Spagna non è esistito prima della Costituzione del 1812 in seguito alla rivolta liberale di Cadice. Neanche la dinastia dei Borbone, che successe nel 1700, con Filippo V, al di là di qualche provvedimento accentratore, modificò questa realtà plurale. Il professor Francisco Elías de Tejada, autore del monumentale Nápoles Hispánico, opera in cinque volumi di cui il suo amico Silvio Vitale volle la traduzione in italiano, completata dopo la sua morte, parlava di monarchia federativa e missionaria. Federativa nel senso di foral (dal fuero, diritto consuetudinario locale). Ciascun territorio conservava il suo diritto proprio, la sua autonomia. Era l’espressione di una mentalità pre-statale, che non ha niente a che vedere, però, con il il federalismo rivoluzionario nato dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America (1787) . Una Monarchia missionaria nel senso cattolico, che resisteva al mondo protestante, padre dell’Europa moderna, sui territori dove si era radicata la res publica christiana, la Cristianità. In questo senso possiamo definire la monarchia ispanica come una christianitas minor. Il liberalismo ha combatutto questa visione del mondo tradizionale. Il carlismo, l’ha conservata fino ai giorni nostri, come una sorta di christianitas minima. Basta leggere i proclami dei suoi Re, da Don Carlos fino a Don Sixto Enrique, in quasi due secoli, e i libri dei suoi pensatori. Tra loro, oltre ad Elías de Tejada, Rafael Gambra ed Alvaro d’Ors. Gambra, interpretando l’opera di Vázquez de Mella, ha definito le caratteristiche di una monarchia tradizionale, cattolica, sociale e rappresentiva. D’Ors ha spiegato la nascita della Monarchia foral come un’anticipazione di quello che la dottrina sociale della Chiesa, già nel XX secolo, avrebbe chiamato principio di sussidiarietà. A questo corpus mysthicum - secondo la terminologia degli autori del secolo XVI e XVII - appartenne felicemente, con i suoi privilegi, il Regno di Napoli dal 1442, con i Re aragonesi, fino al 1713, data in cui il Trattato di Utrecht, dopo la guerra di successione spagnola, che fu un conflitto internazionale, lo separò.

*Universidad de Comillas, Madrid