Con gli “Occhi chiusi spalle al mare”, Donato Cutolo dà alle stampe un romanzo (edito dalle Edizioni Spartaco) fortemente sentito nella sua diretta “semplicità” narrativa dal poetico contenuto sociale e umano.

Dopo aver lavorato al silenzio e in silenzio tutta la notte, ogni cosa ritrae la sua anima in attesa del nuovo giorno”, e nel personale “Viaggio al termine della notte” di Donato Cutolo, un “vento leggero sale dal mare profondo portando con sé storie di vite lontane. Granelli di sabbia” che uno dopo l’altro, nell’ineluttabilità di un “tempo senza movimento” e di un “silenzio” che “galleggia nell’aria e avvolge le cose”, compongono il nostro universo interiore nel rapporto con noi stessi e con coloro che ci circondano e che incontriamo nel corso della nostra esistenza.

E così è per il protagonista Piero, “introverso e schivo … cresciuto all’ombra di un padre distante” e nel ricordo di una madre e delle sue “promesse” che “a un figlio vanno mantenute”, e che fedele agli insegnamenti materni, per una promessa fatta, darebbe la vita nel suo incontro con le barbarie di chi dalla propria terra, dalla propria casa è costretto, clandestino, a fuggire a causa degli occhi chiusi dalla cecità dell’umana cattiveria.

Piero sedette su una panchina, accavallò le gambe e iniziò a leggere il reportage con molta attenzione: alternò momenti di rabbia a forte commozione, fu catapultato in un altro mondo …”, in quel mondo non libero e privo di ogni definita certezza, “nel limbo di quella prigione, in quella vita che non è vita”, nei “giorni e settimane in attesa di conoscere il proprio destino e la propria destinazione, sospesi tra i timori di un rimpianto coatto e l’anelito di una nuova vita…”.

Nel corso del romanzo la consapevolezza di Pietro cresce e si lacera di ferite e di cicatrici che resteranno sulla sua pelle come “sulla loro pelle (di Jasmine e Youssef) erano ancora vivi i tagli della clandestinità”; Piero compie il suo percorso e si affranca dal passato nella caparbia speranza di un possibile futuro diverso per chi, su questa terra, soffre.

Indubbia è l’enorme attualità di questo racconto di migranti, il cui peso “sociale” è stigmatizzato dalla scelta di accompagnare la lettura con una colonna sonora.       

Eppure mi è parso di udire la tua voce, di notte, un intervallo di silenzio durante il canto di cicale. Veniva dal mare”; e dal mare, con lo struggente carico emozionale e di una vita vissuta, sofferta, straziata, dei profughi, dei rifugiati, il canto che accompagna la lettura del romanzo è la voce della musica nella (appunto) splendida ed evocativa colonna sonora composta da Rita Marcotulli e dalla stessa eseguita al pianoforte con il supporto di Sergio Rubini come voce narrante, Fausto Mesolella alla chitarra, Mariano Iannotta alla noise guitar, Mariateresa Federico alla voce,Yasmeen Buds Choir, Magic Lamp (coro di bambini palestinesi) nella traccia di chiusura e Donato Cutolo ai paesaggi elettronici e synth.

L’esperienza di immaginare i paesaggi, i personaggi e gli stati d’animo che la lettura dà, quando la stessa va di pari passo con la musica, è di forte suggestione, tanto più se la “colonna sonora” è di pregevole fattura e arricchita, come nel caso di specie, dalle didascaliche voci di bambini palestinesi e siriani di sottofondo che raccontano ora i propri sogni, ora i propri timori con le loro grida di paura.

Una giovane soldatessa mi ha bloccato chiedendomi della mia bomba e della mia preghiera. Mi sono scusato dicendo: “Non combatto e non prego”. “Perché sei venuto a Gerusalemme allora?” “Per passare tra la bomba e la preghiera, a destra macerie di guerra, a sinistra macerie di Dio, ma io non combatto e non prego”. “Cosa sei?” “Un biglietto della lotteria tra la bomba e la preghiera.” “Cosa ci faresti? Cosa faresti se vincessi?” “Comprerei un colore per gli occhi della mia ragazza” (Mahmud Darwish, “Una trilogia palestinese”).

Marco Sica