Nel 1950 uscì un film famoso (“Ferdinando I re di Napoli”) con alcuni dei più grandi attori napoletani e italiani: Eduardo, Titina, e un Peppino De Filippo che interpretava un crudele e ridicolo re Borbone. Tanti non lo ammetteranno ma, quando parlano dei Borbone , si limitano a ricordare quel film, anche se fingeranno di aver letto tanti libri e tanti documenti. Lo schema è simile per una poesia, “La spigolatrice di Sapri”, di Luigi Mercantini, letterato e politico, autore anche di altri inni che non brillano per originalità (suo l’inno per Garibaldi “Si scopron le tombe, si levano i morti...”). E tanti, parlando di Borbone e rivoluzioni, ricorderanno quella poesia molto retorica; “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”. Ma qual è la storia vera di quei giovani “con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro” e di quella “barca in mezzo al mare” che “alzava una bandiera tricolore e all’isola di Ponza si è fermata”? Qualche segnale lo aveva colto lo stesso poeta (“li disser ladri usciti dalle tane”). E qualche dubbio viene fuori subito se si parla di “morire per la patria bella” (che a quel tempo e da quelle parti poteva solo essere quella napoletana), contro “li gendarmi” (che gendarmi non erano, ma popolani). Carlo Pisacane aveva abbandonato la carriera militare ritirandosi a vivere con la sua amante, Enrichetta De Lorenzo, moglie del cugino. Nel suo curriculum c’è anche un arruolamento nella legione straniera. Frequentando ambienti mazziniani, si convinse dell’urgenza di una rivoluzione nel Sud. Partito da Genova con 26 uomini e con l’aiuto dei soliti finanziatori (il banchiere massone Adriano Lemmi) e dei soliti macchinisti inglesi, (protagonisti anche nel 1860), imbarcò a Ponza circa 300 galeotti per accendere nel Regno delle Due Sicilie la scintilla della rivoluzione. Uno scontro a fuoco creò il panico nella popolazione mentre i rivoluzionari si erano impadroniti della cassa comunale e avevano incendiato archivi e biblioteca del convento cistercense aprendo, poi, i cancelli del bagno penale. Circa 1.800 delinquenti misero a ferro e fuoco il paese facendo crescere lo scetticismo degli abitanti, che non aderirono all’ insurrezione. A Sapri, preceduti da questa fama, la popolazione accolse Pisacane e i suoi con fucili e forconi. Presso Sanza, Pisacane fu ucciso con diversi compagni di avventura. Quelli che scamparono all’ira popolare furono arrestati, condannati a morte e graziati dal Borbone. Ma i peggiori critici di quella spedizione furono proprio coloro che non ci si aspetterebbe. Cavour si scagliò “contro le delittuose iniziative di quell'infame cospiratore, vero capo di assassini e demonio che rispondeva al nome di Mazzini” e si augurava di vederlo “un bel giorno appiccato”.

Sono addoloratissimo e maledico quegli scellerati che, standosi da lontano, mandano giovani generosi a morire, anzi ad esser macellati”, scrisse Luigi Settembrini. La Gazzetta del Popolo (13 agosto 1857), riferiva di diversi scandali legati a Mazzini e ai “suoi interessi pecuniari” nella spedizione di Sapri. Le rivelazioni del giornale si concludevano con una denuncia: “Il sig. Mazzini è un rivoluzionario che grida agli altri avanti ma che, quanto a lui, pensa di salvare la pancia per i fichi”. Altro che “spirito patriottico”, celebrazioni e statue dedicate a presunti “eroi” umanamente e cristianamente rispettabili, ma che dovrebbero essere raccontati in tutti i loro aspetti, anche quelli meno belli.

*presidente Movimento Neoborbonico