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Due pezzi da novanta per salvare la Campania

Cirielli con Sangiuliano può guardare con fiducia al “tempo delle urne”

Due pezzi da novanta per salvare la Campania

Il tanto vituperato - dalla sinistra falso-progressista, che non riesce a uscire dal mesozoico - Governo Meloni ha scalato il terzo gradino del podio di longevità dei governi della storia repubblicana, dopo i Berlusconi II e IV. E in considerazione che - nonostante il trascorrere del tempo e contrariamente a quanto sempre successo ai suoi predecessori - l'esecutivo e i partiti che lo sostengono godono fra gli elettori ancora di maggiore stima di quanto non ne avessero al momento delle politiche del 2022 come conferma anche l'ultima rilevazione Agi/YouTrend della settimana scorsa, con Fdi che da solo ha la stessa media voti, di tutto il centrosinistra 30,3%.

Ma, ad avviso personale, deve fare attenzione al Sud e non perché sia pregiudizialmente contro Meloni, tutt'altro! Tant'è che il candidato governatore, attuale viceministro degli esteri, Cirielli, designato con grande ritardo e notevolmente distanziato dal pentastellato Fico, di non meno 25 punti, oggi anche grazie alla discesa in campo come capolista di Fdi del già ministro alla Cultura, Sangiuliano, è staccato di soli 4 o 5 punti e può guardare con fiducia al “tempo delle urne”. Bensì perchè tra dati allarmanti della Caritas - sulla povertà al Sud (“il 18,5 % delle famiglie meridionali non ha una vita dignitosa” e la paura che la situazione possa peggiorare causa dell'aumento di energia e inflazione) e quelli della Svimez, per la quale, e giustamente, il pur notevole incremento occupazionale registrato negli ultimi due anni e le promesse, che, in parte restano ancora da mantenere, rischiano di allargare vieppiù il divario fra i territori e disagio sociale.

Il che potrebbe ancora una volta rallentarne la crescita. E tutto questo, purtroppo, a dispetto del pur immenso patrimonio di ricchezze naturali, storico-culturali ed archeologiche che fanno dell'Italia meridionale un incomparabile scrigno di bellezze naturali e archeologiche. Basta pensare a quel Mediterraneo fonte inestimabili di risorse alle quali la Zes ed il Sud possono attingere se davvero – avendone tutti i numeri - vogliono fare da guida allo sviluppo delle Nazioni dell'Africa Settentrionale e del Medioriente Mediterraneo, come da obiettivo del Piano Mattei, che per l'Africa rappresenta un progetto strategico di cooperazione allo sviluppo e investimento dell'Italia fondato su un approccio globale e non predatorio.

Per riuscire nell'intento, però, l'Italia del tacco - grazie alla “Zona Economica speciale unica” che copre tutte le regioni del Mezzogiorno per incentivare gli investimenti e lo sviluppo economico attraverso benefici fiscali, finanziari e semplificazioni amministrative, dovrà - dal punto di vista delle scelte programmatiche che la riguardano direttamente – decidere in prima persona a quali progetti partecipare e a quali no, senza che nessuno possa imporre rigidi automatismi sulla base di diktat più ideologici che economici come fatto finora. Tanto più che, nel frattempo, abbiamo avuto il tempo di renderci conto di quanti e quali guasti hanno prodotto l'ideologia del green deal, la “rivoluzione” climatica, le energie rinnovabili, le pale eoliche e le auto elettriche. Con la Von der Leyen che alla fine si è resa conto che è giusto cancellare lo stop alle auto a benzina dal 2035, e dire “si” (anche per l'incessante pressing della Germania per salvare le proprie aziende) ai carburanti hi-tech.

E dire che le decine di miliardi di euro che abbiamo sacrificato all'altare dell'ideologia ecologica avremmo potuto investirle per lo sviluppo e la crescita dei singoli Paesi e dell’Europa. È arrivato, quindi, l'ora d'invertire la rotta rispetto a quel passato in cui le Regioni meridionali si sono limitate alla parcellizzazione degli interventi, anziché definire fra loro progetti strategici ed integrati. Facendosi, guidare più dalla “ratio” del clientelismo che non da quella della programmazione strategica ed unitaria. Il che ha fatto crescere i consensi, ma non ha offerto – ne avrebbe mai potuto farlo – al Sud alcuna opportunità di crescita effettiva e duratura.

Personalmente, sono convinto che un Mezzogiorno specializzato nell’attività turistica, valorizzando il proprio patrimonio archeo-museale e l’offerta; capace di sostenere le preesistenze industriali e farne nascere di nuove, con il credito d'imposta della Zes Unica Sud; il sostegno a ricerca e innovazione; con la collaborazione e l’azione congiunta di università ed imprese; l'interazione virtuosa fra: agricoltura, turismo, territorio, artigianato, cultura, giacimenti archeologici, intermodalità e porti non avrebbe alcun problema e comincerebbe a intravvedere quel futuro che, oggi come oggi si fa fatica a scorgere. Non sarà né facile né veloce e neanche gratis.

Perché, prima, bisognerà stabilire le cose da fare e le opere da realizzare a cominciare dalle infrastrutture necessare e i servizi: sanità, trasporti, Ponte sullo Stretto, (i cui cantieri dovebbero aprire entro fine anno), lavoro e sicurezza. E prima si farà, meglio sarà, per figli e nipoti. Anche perché non si può neppure sperare nella nascita e localizzazione da queste parti d’insediamenti industriali con organici dai grandi numeri. Tecnologia e innovazione, purtroppo, hanno ridotto, e non di poco, lo spazio per i lavoratori.

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