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IL CALABRONE DIPINTO

Daidone e Lanni a “Spazio Vitale”

La mostra di opere curata da Maurizio Vitiello nelle sale del Centro Espositivo aversano

Daidone e Lanni a “Spazio Vitale”

Daidone e Lanni a “Spazio Vitale”

La mostra di opere di Maria Pia Daidone e di Franca Lanni curata da Maurizio Vitiello nelle sale del Centro Espositivo aversano di “Spazio Vitale” fornisce occasione per suggerire alcune intriganti osservazioni che noi vorremmo additare anche come più ampi spunti di riflessione che possano consentire di costruire una prospettiva più consapevole ed avvertita della fruizione artistica contemporanea.

Innanzitutto, i fatti: ed i fatti sono le opere stesse che le due artiste napoletane presentano in mostra, opere che si distinguono tra loro per l’impiego che esse praticano di diverse tecniche realizzative, che sono di carattere schiettamente materico nella delibazione della Daidone e di carattere digitale in quella della Lanni (nella foto, due opere delle artiste).

Materico versus digitale, potremmo semplificare; ma sarebbe una semplificazione indebita ed azzardata, giacché ciò che apparentemente distanzia queste due esperienze creative è anche ciò che le accomuna profondamente: una carica “segnica”, che si afferma con vivezza di impatto, guadagnando all’attività creativa delle due artiste uno spessore contenutistico di sicura prestanza.

Ed, allora, ciò che sembrerebbe più vivida ruvidezza aniconica in Maria Pia Daidone, si rivela impalpabile levità figurativa capace di evocare impercettibili sottigliezze figurative di ordine addirittura paleolitico, mentre, nella Lanni, lo sfaldamento della materia nella apparente costituzione di una traccia algida ed impalpabile di ordine virtuale si trasforma in compressione abbruciata di tracce visive che si fondono nella produzione di una immagine che è ancora figurativa, ma solo nella misura in cui il frammento disfratto e lacerato può essere testimonianza della irrinunciabilità comunicativa della vita.

Un incrocio di tecniche, insomma, ciò cui ci lascia accostare questa mostra, in cui si osserva l’integrazione di linguaggi – ancestrali, ma anche attualissimi – unificati dal segno producente di una pratica accortamente materica.

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