“Invisibili”: gli espulsi dal mercato del lavoro
Il lavoro, specie nel Nostro Posto, sembra diventato una chimera. Lo è per tanti giovani che scelgono di andar via proprio perché hanno paura di vivere soltanto di speranze, di illusioni e di precarietà. E allora decidono di tentare la sorte altrove, di costruire il proprio avvenire lontano da casa. È la storia che sentiamo spesso raccontare e che, giustamente, angoscia tutti noi, perché il futuro è dei giovani, deve esserlo. E i nostri ragazzi già hanno avuto troppe delusioni. Però immaginate anche com’è per quelli che un lavoro lo avevano. Magari un lavoro dignitoso, di quelli che ti fanno portare avanti la famiglia, col sudore della fronte e senza tanti fronzoli, ma con la certezza che i tuoi sacrifici di ogni giorno ti faranno poi dormire con tranquillità. E invece, all’improvviso, quel lavoro scompare, la fabbrica dove andavi ogni mattina chiude, spesso dopo mesi di tensioni, delusioni e angosce. All’inizio pensi che durerà poco, che hai dei risparmi o una famiglia che ti può dare una mano e che in fondo sei una persona seria, volenterosa e capace. E poi ci sono pure le Istituzioni, la Naspi, come si chiama ora l’indennità di disoccupazione, e comunque credi che uno Stato degno di questo nome non ti lascerà solo per sempre. Ma il tempo passa e il lavoro non torna. Crescono i figli e le loro esigenze e tu sei sempre lì a sbattere la testa, a pensare come arrivare a domani, come pagare le bollette, come aggiustare la lavatrice. Come vivere insomma. E cominci a pensare che sei inutile, o meglio che sei invisibile per la società in cui vivi. Perché ve lo racconto? Perché incontro spesso tanti che hanno cinquant’anni come me, ma sono stati meno fortunati di me e una busta paga non la vedono più da anni, per non parlare di quelli che non l’hanno mai vista. Ecco, io credo che tutto questo sia profondamente ingiusto. E soprattutto che questa ingiustizia si consumi nell’indifferenza della politica: se ci fate caso, gli espulsi dal mercato del lavoro scompaiono letteralmente dai radar, anche della comunicazione, ecco perché li chiamo “invisibili”. Non intendo criminalizzare nessuno in particolare, neppure quel De Luca che pure da 5 anni tira a campare in Campania, limitandosi a sparare promesse da uno schermo televisivo. Nessuno ha la bacchetta magica e la crisi del lavoro viene da lontano, da molto lontano. Però questo non può essere un alibi, specie per chi governa. E invece quasi sempre lo diventa. Perché sì, è vero che l’economia non gira, ma è anche vero che in Campania restano nel cassetto persino i soldi pubblici che ci sono, quelli dei Fondi europei tanto per cominciare. Sì, è vero che il mondo è cambiato e la globalizzazione miete vittime, ma è vero anche che qui da noi non ci sono cantieri pubblici, mancano infrastrutture, materiali e digitali, finanziamenti alle piccole imprese, percorsi di riqualificazione professionale per chi il lavoro lo ha perso. Non ci sono azioni di sistema per valorizzare la filiera agroalimentare, non si sostiene il turismo ma le sagre di paese, non si parla di rigenerazione urbana per rilanciare l’edilizia che da sempre crea lavoro e ricchezza. Insomma, la politica tira a campare perché non sa cosa fare e comunque non vuole. E se hai più di cinquant’anni e una famiglia da mantenere, queste cose le percepisci ancora più chiaramente. Ecco perché bisogna voltare pagina, sostituendo alle chiacchiere i fatti e ragionando in modo concreto su quello che serve per davvero. Ai nostri tanti “invisibili” servono prima di tutto misure che li riaccompagnino verso il lavoro, sono necessarie quelle che si chiamano “politiche attive del lavoro”. Non finti corsi di formazione tanto per fare - come questa scellerata politica propone ciclicamente - ma un’azione individuale che prenda in carico il singolo lavoratore, verifichi quello che sa fare e il tipo di attività che può svolgere (se serve, dopo un percorso di riqualificazione), l’azienda che ne ha bisogno e infine li metta in contatto. Nel frattempo, a queste persone va garantito un sostegno economico, perché certo non ci si può sospendere dalla vita in attesa di trovare il lavoro. Altro che il reddito di cittadinanza.. E se vi dicono che queste sono chimere, rispondete che dove le cose si fanno sul serio, e a gestire la cosa pubblica ci sono persone competenti, funziona esattamente così. E i risultati ci sono. Tra pochi mesi nel Nostro Posto si vota. Uno dei primi doveri della nuova Amministrazione regionale dev’essere questo. E, se sarà quella di centrodestra, come spero, spenderò tutto il mio impegno perché accada.