A 3 anni dal terremoto di Ischia nulla si muove
Tra qualche settimana saranno passati 3 anni dal terremoto di Ischia. Mi anticipo a parlarne proprio perché non voglio unirmi al coro delle celebrazioni ipocrite cui saremo costretti ad assistere tra qualche settimana. Ricordo quando Conte e Di Maio vennero ad Ischia, promettendo di tutto e di più - anche un condono su misura - per poi dar vita ad una leggina contorta, degna della tradizione dei peggiori azzeccagarbugli. La verità è che, come purtroppo sanno gli abitanti di Ischia, il quadro normativo incerto, frutto delle regole surreali sulla ricostruzione partorite dal governo, l’assenza di risorse adeguate e ancor di più l’incertezza sul come usarle, hanno prodotto un quadro di sostanziale paralisi nel quale spicca sopratutto l’inesistenza di un disegno complessivo su come procedere con la ricostruzione. Non è un caso, probabilmente, che, in quest’ultimo anno, l’unica vera azione posta in essere dal governo sia stata quella di trovare il modo di tagliare, ridurre, sforbiciare in qualche maniera i fondi destinati ai terremotati ischitani per l’emergenza. Insomma, nel puro stile della peggior burocrazia, siccome è oggettivamente poco estetico continuare a parlare di terremotati a distanza di anni dal terremoto, si prova a sfoltirli nei fatti, tagliando i sussidi, non risolvendo il loro dramma. Intanto i problemi restano tutti lì, come le macerie, vero e autentico monumento all’inadeguatezza di chi governa. Del resto, questa storia - e per la verità non solo questa - mi ricorda che, nell’ottocento, tra le nobildonne era in uso farsi ricamare sulle camice da notte la scritta: “non lo fo per piacer mio, ma per dar dei figli a Dio”. Ecco, la posizione delle sinistre sulla questione edilizia e sul condono in Campania mi sembra ispirata alla medesima, pelosa, ipocrisia. La Campania è l’unica regione nella quale non si applica il condono del 2003 per volontà del presidente della Regione dell’epoca, Bassolino, che, con la stessa logica ipocrita di oggi, negò al Nostro Posto quello che in tutto il resto d’Italia venne concesso. E poi ci metti una classe politica locale talmente incompetente e distratta da non riuscire a spiegarlo al resto del Paese in vent’anni. E poi ci metti la burocrazia ottusa che non riesce a smaltire neppure le pratiche del condono degli anni 80 e così ha accumulato decine di migliaia di pratiche che giacciono lì e nessuno più ci vuole mettere le mani. E poi ci metti la magistratura che non distingue tra la speculazione edilizia del camorrista che fa il palazzone a 6 piani dalla casetta del povero cristo e ogni tanto ne fa buttare giù una nel nome dell’obbligatorietà dell’azione penale, facendo finta di non guardare in faccia a nessuno, ma poi di fatto favorendo chi si può difendere meglio. E poi ci metti le anime belle che conducono una lotta senza quartiere all’abusivismo perché così hanno pure loro un ruolo politico e invocano abbattimenti a raffica. È invece venuto il tempo di dire finalmente le cose come stanno per davvero: in Campania, per colpa dello scarso senso comune di alcuni, ma anche e forse sopratutto grazie alla miseria e a tutto questo, ci sono oltre 80mila case abusive che - se per davvero si volesse abbatterle - non si saprebbe neppure dove mettere i chilometri cubici di detriti. E questo senza parlare delle centinaia e centinaia di milioni di euro che ci vorrebbero, oppure del fatto che avremmo all’improvviso un esercito di almeno 300mila persone a cui bisognerebbe trovare un tetto sotto il quale vivere. Certo, la questione è complessa, eppure delle soluzioni si possono trovare, senza neppure scomodare il Parlamento nazionale. Già prima del terremoto del 2017 sono stato il primo firmatario di una proposta di legge regionale che affida ai Comuni la possibilità di redigere nuovi piani urbanistici comunali per “fotografare” la situazione esistente, senza aumentare la cubatura complessiva e limitando l’intervento alle sole opere realizzare per uso domestico e personale. Una previsione di buon senso, in grado di consentire l’urbanizzazione di intere aree destinate altrimenti a restare nella prateria dell’incertezza e utile persino a garantire alle amministrazioni locali degli introiti che potrebbero dare l’opportunità pure di offrire ai cittadini quei servizi sociali che tagli di bilancio e di trasferimenti statali ormai rendono chimere. In definitiva, una legge a favore della gente e non degli speculatori, che però la maggioranza di De Luca ha lasciato in un cassetto per anni senza neppure avviare la discussione. Anche per questo a settembre una svolta è necessaria.