5stelle e Pd provano a ribaltare i sondaggi
La parabola di san Giuseppi per conservare la poltrona: scaricare su Salvini tutte le colpe del Conte 1 e 2. Ci ha provato anche venerdì a Narni, insieme agli altri leader giallorossi, ma senza Renzi. Per quanto ancora? Certo, il voto in Umbria, coinvolge meno di 800mila abitanti e i numeri in Parlamento non muteranno a urma chiuse. L'impatto sul governo, quindi, sarà praticamente zero. Se, però, lo si legge alla luce di ciò che è avvenuto da marzo 2018 in poi: a) crisi ferragostana e soluzione; b) tutte le regionali successive alle politiche sono state vinte dal centrodestra; c) l'appuntamento con le urne cade nel terzo anniversario del sisma del 26 ottobre 2016 e con la ricostruzione ancora di la da venire e scaturisce dalle accuse grilline - irregolarità, per una trentina di assunzioni, in 8 concorsi - alla governatrice Marini, (indagata), all'assessore alla Sanità, Barberini e al segretario regionale del Pd, Bocci (entrambi arrestati); d) dopo avere “devastato” la giunta Pd, i pentastellati, si sono uniti ai “reduci”, per evitare l'ennesima disfatta elettorale; e) nella sua ultima riunione, il 21 ottobre, la giunta uscente, ha deciso, sperando cosi di recuperare terreno, d'investire ben 14milioni in mancette a dirigenti e travet della regione; f) il candidato governatore giallorosso e presidente di Federalberghi, Bianconi ha confessato di aver votato alle europee per il cd, ma grazie alla giunta di sinistra ha portato a casa ben 8 milioni di rimborsi per la ricostruzione post-sisma dei sui alberghi. Di più, il governatore umbro è stato sempre eletto dalla sinistra. Sicchè, ritenere che chiunque vinca in Umbria l'alleanza giallorossa, non ne subirà alcuna conseguenza, significa non avere troppa dimestichezza con la politica vera. Quella con la “P” maiuscola che antepone gli interessi generali a quelli “particulari” degli amici; che propone e persegue lo sviluppo del Paese e non la sua decrescita; che amministra – come recita, con un po' di retorica, il nostro codice civile – “con la diligenza del buon padre di famiglia” – e non nel segno del “vaffa....” grillino; che governa “per” e non “contro” qualcuno”. Quella, insomma, che crede nella democrazia e non nella pantomima della piattaforma Rousseau. Checché ne dicano e ne pensino, Di Maio, Fico e c., che - con la complicità forzata dei pidini che temono anch'essi, come non mai, il ricorso alle urne - hanno okkupato Palazzo Chigi e sotto lo sguardo del guru, Grillo e del guardiano del pc, Casaleggio, fanno e disfanno, approvano e bocciano ciò che vogliono, arrivando fino a minacciare che “senza le proposte dei 5stelle, la manovra non si fa”. Lo hanno fatto con la Lega, ora con il Pd. Da qui il ritorno dei riti: vertici di maggioranza e faccia a faccia, di moda nella primissima repubblica che avevamo dato per superati. Con l'aggiunta di una formuletta magica di loro invenzione: approvazione “salvo intese” di leggi, decreti e manovre. Ma con l'aggravante che, ormai, Conte non si accontenta più di mediare fra le parti e vuole essere lui a “comandare”. Il che fa crescere le fibrillazioni (ogni giorno una in più: Zingaretti contro Renzi; Conte contro Di Maio; piddini contro Italia Viva e grillini e qust'ultimi contro gli altri, ma anche contro i suoi stessi “pargoli”) in una maggioranza che ragioni di unità ne ha pochissime. Anzi. nessuna. A parte, ovviamente, il desiderio di scongiurare il più a lungo possibile il rischio delle elezioni anticipate; provvedere alle 400 nomine in scadenza nelle partecipate e spartirsi le relative poltrone e in più, arrivare fino al 2022 per avere l'opportunità e il privilegio di eleggere un Capo dello Stato di proprio gradimento. Per riuscirsi, però, devono vedersela, non con l'opposizione che in Parlamento non ha i numeri per ribaltarli, ma con gli italiani. Ed è per questo che la vittoria del centrodestra in Umbria, se, da un lato, smentirebbe Mattarella che, pur di evitare le urne, ha benedetto questo connubio, dall'altro, condizionerebbe il voto nelle sette Regioni che seguiranno nel 2020. E se il trend elettorale dovesse continuare sulla falsariga del 2019 segnerebbe la fine della coalizione demostellata, dell'esecutivo e della legislatura. Diversamente, sarebbe un governo contro gli italiani e non solo contro Salvini. Il che nessuno può consentirlo. I giallorossi lo sanno e vorrebbero evitarlo.