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Addio a Federico Salvatore, il cantautore di denuncia

Opinionista: 

Prendi un artista, stringilo coi legacci e avrai di fronte un fallito per la vita. Un comunicatore muto. Un rivoluzionario disarmato. Qualsiasi gesto culturale si fa folgorante soltanto se è libero di vibrare al di sopra e al di là del comune sentimento. Se vive della propria vitalità. A prescindere dalla natura merceologica del prodotto che pretende di racchiuderla. Questo penso quando da consulente della storica Fonit Cetra della Rai incrocio Federico Salvatore nei panni dell’“addetto ai lavori”. Lui accovacciato da una parte, chitarra in mano con il suo strambo modo di abbracciarla (reso inusitato dalla natura mancina e dalla pretesa di non invertire l’ordine “naturale” delle corde); a qualche metro ma distanti miglia dal battito del suo cuore e dalla rinnovata pretesa sonora gli altri, noi: gli esaminatori del “prodotto” e del mercato che fatalmente lo attende al varco. I tempi del Maurizio Costanzo Show, che hanno visto primeggiare il suo umorismo croccante, non sono neppure troppo lontani, eppure Federico smania per “superare” quella comunicazione, rivelatasi vincente. Sente la necessità di muovere oltre l’ordinario, mettendo in discussione il recente passato d’artista. Pizzicando le corde, preannuncia i prodromi di una canzone che appare involuta, ma esploderà nella denuncia nervosa di “Sulla porta” in grado di annichilire un Festival di Sanremo troppo involuto per aggredire con rispetto le disagevoli tematiche dell’omosessualità. Di fatto, “Sulla porta” fotografa una doppia rivoluzione: la sua, intima e protesa alla nuova dimensione di cantautore di denuncia; l’altra, collettiva, di un’Italia canterina finalmente indirizzata sulla strada dell’accettazione sociale di ogni diversità. Un salto nel vuoto? Preconizzarlo, ai tempi, è tutt’altro che facile. Federico viene da un percorso opposto: è uno degli ultimi discendenti della canzone umoristica napoletana. Ed è un vincente. “Azz”, l’album che lo ha definitivamente svelato, racchiude molto più di qualche “macchietta”: sono più sceneggiature di pellicole di successo. È la comicità “ridotta” a musica, degna erede di “A Risa” di Bernardo Cantalamessa (peraltro prima opera italiana incisa su disco) costruita su un conturbante gioco di parole, su una satira tagliente, su una goliardia che muove oltre il pittoresco. Ma è anche, con ogni evidenza, un approccio al suono che a Federico comincia a stare stretto. Da bonaria, la sua satira si trasforma in aperta denuncia del pregiudizio: a qualche osservatore che vorrebbe indirizzare l’arte appare come un tradimento. Per Federico è più semplicemente la sua evoluzione vitale. Che non si imbriglia.