Benigni e la Costituzione più bella del mondo
Una vicenda seria come la riforma della carta costituzionale dello Stato si sta trasformando in Italia in una specie di gara nella raccolta di firme, presunte autorevoli. Ingaggiati una serie di procacciatori di griffe, Governo, da una parte, e sostenitori del no al prossimo referendum indetto per la conferma della riforma, dall’altra, si misurano sulla capacità d’assommare il maggior numero di sottoscrizioni a sostegno delle rispettive tesi. Da ultimo, a far notizia è stato il revirement di Roberto Benigni il quale, un tempo sostenitore della “Costituzione più bella del mondo”, si è lasciato arruolare alla causa della riforma Boschi ed ha dichiarato che sì, lui voterà a favore del nuovo testo, sia pure non senza qualche esitazione. Che senso abbiano iniziative di questo genere davvero non è facile intendere. Difficile credere che i cittadini, ammesso pure che seguano simili vicende, possano lasciarsi orientare nel voto dall’esempio offerto da un guitto dal dubbio gusto o da qualche plotoncino di esperti – o sedicenti tali – che sottoscriva per l’una o l’altra posizione. Tutti ben sanno quanto gli italiani siano soliti prendere posizione in un senso o nell’altro, in ragione d’interessi che quasi mai hanno da fare con la materia trattata. Non saremmo nelle condizioni di degrado istituzionale in cui versiamo, se l’opportunismo non fosse stato sino ad oggi la vera bandiera nazionale, quella che potrebbe definirsi la Costituzione materiale dello Stato. Agendo così come sta accadendo in questi mesi, l’una e l’altra parte spostano l’attenzione dai problemi di contenuto a quelli di schieramento e di appartenenza, nella logica amico/nemico, che è esattamente l’opposto di quanto si dovrebbe fare allorquando si costruisce la nuova architettura dello Stato. Allorquando cioè si costruisce la struttura della cosa comune, quella che dovrebbe consentirci di proseguire insieme nel difficile cammino comunitario. Eppure non sarebbe difficile porre le basi per un dibattito, serio e misurato, intorno a punti fondamentali della riforma, consentendo a chiunque – o almeno a coloro che siano in grado di farlo con un minimo di consapevolezza – di scegliere avvedutamente per l’una o per l’altra soluzione. Infatti, è chiaro che questa riforma costituzionale ruota intorno ad un essenziale obiettivo: quello di rendere più forte l’Esecutivo, riducendo l’influenza del legislativo e sottoponendo lo stesso sistema delle autonomie regionali ad una stretta in termini di esercizio delle competenze ad esso assegnate. In questi termini va letta l’abolizione del bicameralismo perfetto ed il legame più forte creato tra il Governo e la Camera dei deputati che gli conferisce la fiducia; in questi termini va letto il potere conferito alla Camera dei deputati di legiferare in materia di competenza regionale quando lo richieda l’interesse nazionale. Sono questi i punti salienti che sarebbe necessario analizzare seriamente, in dibattiti attenti da diffondere opportunamente ed in termini comprensibili, di modo da favorire la formazione per ciascun cittadino d’una convinzione fondata e maturata criticamente. Certo, è necessario avere una buona dose di fiducia nella democrazia per ritenere che ogni votante avrà la possibilità di metabolizzare una concezione adeguata delle riforma in atto; ma questa è la premessa in cui ciascuna democrazia deve prestar fede per esistere. La differenza sta nel tentare o meno di far pervenire alla base l’informazione adeguata a quanto è chiamata a decidere. Si tratta di scelte decisive che possono produrre danni o vantaggi duraturi e dunque varrebbe la pena di comportarsi seriamente, non solo da parte dei politici ma anche da parte di tutti i responsabili dell’informazione. Il tempo a disposizione c’è ancora e sarebbe dunque davvero importante mettersi al lavoro senza sprecare occasioni preziose.