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Bolsonaro come Trump, ma anche come molti altri

Opinionista: 

Una tragica pagliacciata, quella svoltasi a Brasilia, che conferma come l’alternanza pacifica al potere assicuri la migliore democrazia ma solo se chi guida lo schieramento di destra o di sinistra poi governi - volendo semplificare - verso il centro, facendo assumere al proprio partito o movimento o coalizione il carattere di centrodestra o di centrosinistra. L’alternanza può essere assicurata anche da una forza centrista alleata ora alla destra ora alla sinistra ma con tutti i rischi degenerativi di una sua permanenza eccessiva al potere. Il paragone tra l’assalto in Brasilia e quello a Washington è calzante, però riduttivo. Jair Messias Bolsonaro e Donald Trump si rassomigliano e a testimoniarlo c’era l’ottima intesa tra i due. Tuttavia, se nelle relazioni internazionali hanno mostrato il lato migliore (si pensi al contenimento della delinquenza in Brasile e del neo-populismo autoritario di sinistra in America latina, favorito dal primo, e all’accordo tra israeliani e arabi e alla “convivenza” con la Russia favoriti dal secondo), in politica interna i sono rivelati tanto maldestri quanto “suicidi”. Hanno, infatti, governato con l’enfasi della faziosità - per quanto spesso più mostrata che realizzata - ricorrendo a una insolita demonizzazione dell’avversario, fino ad allora confinata nelle marginali correnti radicali dei rispettivi fronti, che hanno finito per contagiare fasce sempre più larghe di popolazione. E hanno declamato un disprezzo tanto irragionevole quanto irritante per le ragioni dell’ambientalismo: si pensi alla criminale aggressione al patrimonio naturale dell’Amazzonia brasiliana e all’inquinamento provocato dall’estrazione di petrolio e gas di scisto negli Stati Uniti. Per non parlare della sottovalutazione del Covid. Atteggiamenti e politiche che hanno loro alienato quella porzione dell’elettorato moderato che, per quanto piccola, s’è dimostrata decisiva per condannarli alla sconfitta nelle urne. Nell’ultimo paio di mesi Bolsonaro ha perso la presidenza per un pugno di voti, gridando ai furti elettorali come aveva fatto Trump. Quest’ultimo ha ottenuto nelle elezioni di medio termine la seconda sconfitta per il successo mancato per un soffio al Senato e per quello stentato alla Camera dei Rappresentanti, in consultazioni che presentavano tutte le condizioni per un rovescio dei democratici (dall’inflazione al ritiro ignominioso dall’Afghanistan, all’ostilità preconcetta e controproducente verso la Russia di Vladimir Putin, patriota e nazionalista, sì, ma fino all’ultima provocazione NATO il più filo-occidentale dei dirigenti moscoviti). Gli assalti a Brasilia come a Washington sono durati poco mentre le pene per i cialtroni dureranno a lungo: questo il risultato pratico. Le similitudini tra le pseudo-rivolte di Brasilia e di Washington si fermano qui. Altre, tuttavia, ne appaiono sullo scenario internazionale e a diversi livelli. Le conseguenze politiche del governare su posizioni troppo lontane dal centro, dove più e dove meno, sono nefaste. Le dittature in Medio Oriente e in Africa scatenano guerre civili sanguinose e interminabili, perché pronte a riemergere dopo le repressioni che le rialimentano. In Asia la rabbia cova sotto la cenere facendo divampare improvvise fiammate che, alla lunga, provocano cambi al vertice dei partiti unici al potere (Cina) o segnano nei Paesi democratici la sconfitta dei partiti al governo (com’è avvenuto in Giappone o in Australia) o un repentino capovolgimento nelle relazioni internazionali (come recentemente nelle Filippine dove il nuovo presidente Ferdinando Marcos jr ha incontrato il presidente cinese Xi stringendo - nel “disappunto” di Washington - accordi economici rilevanti che segnerebbero la fine della contrapposizione tra Manila e Pechino sul Mar cinese meridionale). In Europa, dove la democrazia è radicata, abbiamo assistito al tramonto - vedremo se temporaneo o definitivo - di forze storiche che hanno caratterizzato la vita politica di alcuni Stati ma che hanno fallito nell’impostare politiche di blocchi antagonisti. Qualche esempio. Si pensi, in Francia, ai partiti socialista e repubblicano (post gollista), punti di riferimento nazionale e ridotti a comparse di uno scontro che ha visto l’Eliseo conteso da un liberale (Emmanuel Macron) e una nazionalista (Marine Le Pen). Si pensi all’Italia, dove corruzione e cattiva gestione dello Stato hanno fatto fallire le forze che puntavano alle eredità elettorali della Dc e del Pci e portato all’exploit dei 5Stelle e poi alla nascita del primo governo di destra-centro guidato per la prima volta da una donna. Si pensi, in Gran Bretagna, alla crisi prima dei laburisti e poi degli stessi conservatori, pervasi da un simile contrapposto massimalismo e complici di una Brexit disastrosa. Si pensi, in Spagna, allo scontro duro tra socialisti e popolari che ha partorito nuove condizionanti forze politiche. Si pensi all’ex socialdemocratica Europa del nord, dove l’accoglienza migratoria vieppiù invasiva ed osteggiata, fenomeni di terrorismo e legislazioni “buoniste” o non rigorose come richiesto da un numero crescente di cittadini timorosi per la sicurezza hanno spinto a cambiamenti politici: dall’Olanda (che ha confermato la coalizione di destra) alla Danimarca (dove si è dovuta formare una maggioranza trasversale sinistra-destra), dalla Svezia (dove per un secolo il governo si è identificato nella socialdemocrazia e nella neutralità e che ora è nelle mani del centrodestra) alla Finlandia (dove si alternano coalizioni che ruotano attorno a tre forze politiche di pressoché pari consenso elettorale, incapaci o costrette a non salvaguardare una neutralità che l’ha resa la prima tra le meglio realizzate democrazie del pianeta. La Germania fa storia a sé, perché ha subìto le conseguenze - quasi vittima sacrificale - del conflitto in Ucraina.