Campania: un confronto con idee poche e confuse
Sta finendo che dobbiamo dar ragione, certo malvolentieri, a Roberto Saviano quando sostiene che (lo dice per il Pd ma vale per tutti gli altri) che ormai i partiti sono diventati “vapore acqueo” e che praticano, quasi con disperazione, la poco commendevole “arte della sopravvivenza”. Cala il comiziante sipario e, anche in Campania, sul derelitto palcoscenico restano gli avanzi di una propaganda deprimente. Una demagogica rincorsa a chi promette di più come se fosse possibile una palingenesi sociale prescindendo da doti individuali come studio e competenza, visione realistica dei problemi, capacità programmatica e operativa. Nel “carosello” esibizionistico s’è vista invece una prevalenza di personaggi pronti a vantarsi di “volare alto e guardare lontano” mentre serietà vorrebbe che, quando la situazione precipita, ognuno si guardasse bene intorno per cercare di sciogliere il groviglio dei problemi che ci assediano e ci tolgono il fiato.
*** “SGARBI” D’AUTORE. Sono quelli che, abbandonato il “politicamente corretto” (già di per sé una pura ipocrisia), non si sono minimamente risparmiati i due maggiori duellanti per il vertice della Regione. Attacca Stefano Caldoro: De Luca è una carogna e “un pappone che vuole tutto per sé”, per giunta tifoso iuventino; ricorda quando “lo sceriffo” definiva geneticamente i napoletani ladri e che, per andare a Salerno, bisognava attraversare la dogana. Reazione focosa di Vincenzo De Luca presidente uscente e, secondo tutti i sondaggi, anche largamente rientrante: Caldoro è un maggiordomo di quel Salvini che delle offese a napoletani e meridionali aveva fatto “un triste e logoro cavallo di battaglia”. Ognuno dei due difende il proprio schieramento denigrando l’altro. Caldoro: con le sue 15 liste De Luca guida un’armata Brancaleone. De Luca: Caldoro sbava d’invidia perché a stento è riuscito a mettere insieme non più di 6 liste derelitte votate a inesorabile, sonora sconfitta
*** TUTTO A REMOTO. I due non si sono mai scontrati in un duello frontale. Nemmeno in tv. Negli studi Rai di viale Marconi, a Fuorigrotta, tutto era pronto per l’attesa tribuna politica riservata ai 7 presidenti regionali “in pectore”. Ma poco prima dell’inizio, arriva il rifiuto deluchiano a parteciparvi (“non ho tempo da perdere…”). Se non viene lui, “da codardo qual è”, non ci sto nemmeno io, replica lo sfidante più temibile. Poco rispettoso De Luca verso gli altri partecipanti al “televisivo tenzone”, ma poco riguardosa anche la reazione caldoriana: un’alzata di tacchi e via. Risultato: ingiurie a volontà, ma sempre “mandate a dire”.
*** STRAFALCIONI PROGRAMMATICI. I due si ritirano in “camera caritatis” e buttano giù un po’ di proposte. De Luca parla di “dieci idee più una” e precisa che “sono progetti e non sospiri”: dalla bonifica del mare orientale di Napoli e di piazza Garibaldi all’azienda unica dei trasporti, dal verde pubblico alla casa dell’Architettura, dal polo audio visivo e tecnologico agli ospedali, dalla funivia dei musei alla funicolare del Vesuvio (ma tutto senza indicazione di tempi e di risorse necessarie). A sua volta Caldoro punta tutto sul sostegno alle aziende e ai diritti dei Lavoratori: sgravi per chi produce e meno tasse per tutti, cuneo fiscale come “chiave di volta”.
*** POCO AUTOCONTROLLO. A ciascuno dei duellanti il proprio “scivolone”: De Luca precisa che per il suo ambizioso programma “sarà decisivo il sostegno del Comune di Salerno”. S’accorge della freudiana gaffe e corregge: “del Comune di Napoli”. Caldoro non s’accorge, invece, di averla sparata grossa quando afferma che, col suo piano, si creeranno “100mila nuovi posti di lavoro” (Berlusconi, a suo tempo, s’era fermato a un milione, ma ecco la sproporzione: Caldoro 100 mila per la sola Campania, l’ex cavaliere 1 milione per 20 regioni. In tema di rigonfiamenti, l’allievo supera il maestro).
*** SFIDUCIA PALPABILE. È un dato negativo che attraversa il corpo elettorale. L’antipolitica è quotidianamente alimentata da demagogia e improntitudine. Ma il modo peggiore per combatterla, da parte degli elettori, è quello di disertare le urne. Mentre è proprio dal voto “diritto e dovere civico” (articolo 48 della Costituzione), che incomincia un percorso di rinnovamento che, se sostenuto con coerenza e responsabilità, può portare lontano.