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Caro Massimo, ora come allora “ricomincio da te”

Opinionista: 

Caro Massimo, domenica 19 febbraio è stato il tuo compleanno. Quale giorno migliore della settimana per una ricorrenza che ti riguarda. Non già per il tuo rapporto con la religione e il buon Dio, che immagino sia colmo di dubbi e ironie, come con tutto ciò che è astratto e massificato - se precostituito o imposto poi figurarsi - quanto perché, come si conviene al dì di festa, la domenica è scritto, anzi è sancito, che tu non solo possa, ma addirittura debba riposare senza sentirti in colpa. In queste ore ti stanno festeggiando in tanti, praticamente tutti, anche molti di quelli che agli inizi della tua carriera ti hanno "chiuso le porte in faccia" o che hanno criticato più per partito preso (non userò la parola razzismo, perché so che faresti 'a faccia storta) che con buona ragione le tue prime uscite cinematografiche. Non c'è che dire, settant'anni è una bella cifra per chi come te, tra un problema di cuore e un altro, svicola gli affanni per non affrontarli di petto (il tuo punto debole), anche se ancora con l'ironia e l'affabilità che sono da sempre il tuo marchio di fabbrica. È stato un gran viavai di messaggi, articoli di giornali, premi, speciali televisivi (seguiranno di certo anche le serie), lauree honoris causa (figurarsi uno che si è diplomato a 23 anni, anche con un certo orgoglio), attestati di affetto e di stima da tutto il mondo, interviste a chi ti ha conosciuto o a chi ti ha solo intravisto (io sono uno di questi, ma nessuno ha bussato alla mia porta). Uno di quelli che in passato ti è stato più vicino ha negato i rimorsi, non i rimpianti. San Giorgio a Cremano poi - il popolosissimo comune della città metropolitana di Napoli dove sei nato - è stato battuto palmo a palmo da ogni cronista, fotografo, turista o curioso. Tra musei e luoghi occasionali di "culto" presto il tuo paese natale diventerà, ci puoi giurare, "patrimonio dell'umanità". Mario Martone, per festeggiare la felice ricorrenza, ha perfino fatto un film su di te che sono andato puntualmente a vedere. Bello, un po' lunghetto, con qualche caduta di stile - le parole manifestamente false di Ettore Scola sulle tue opinioni degli attori napoletani - ma anche qualche splendida lettura della tua cinematografia - su tutte la scena quasi finale nella splendida cornice di San Martino in "Pensavo fosse amore e invece era un calesse" - e quella chicca delle tue sorprendenti poesie olografe. Tutto molto bello e commovente, ma il tono solenne e cadenzato degli addii non ti si addice. Sei maestro degli arrivederci tu. La fine in fretta e furia de "Il Postino" per poi "ritirarti a riposare" nella tua bella casa ai Parioli di Roma ne è la testimonianza tangibile. Stai ancora là, indaffarato a far nulla o a progettare tra vecchi e nuovi amici il tuo prossimo film o a dire la tua, tra una comparsata televisiva e un incontro occasionale, su un tempo mai come ora così angusto, ampolloso e provvisorio. E questo perché, a differenza dei grandissimi attori e autori napoletani che ti hanno preceduto, e a cui tu non vuoi essere paragonato, fai tutto calandoti nel tuo tempo, nelle sue contraddizioni, nei suoi torti e nelle sue ragioni, nelle sue meraviglie. Reciti la tua vita, non un copione. Come uno di noi. Loro - Totò, Eduardo, Peppino, Nino Macario - stavano sul palcoscenico. Tu no. Tu stai in mezzo a noi, anche dal tuo pigro e ormai duraturo ritiro nella capitale. Parli solo di quello che tutti cmprendiamo: l'amore, la gelosia, la maternità, il lavoro, il calcio, le bigotterie, l'esagerazione, la vanità. La tua grandezza è la nostra quotidianità. Quello che ti porta a eccellere ce l'abbiamo tutti, noi napoletani in particolare, anche senza saperlo. Questo ci insegni tu ogni giorno. Sei l'amico che ce l'ha fatta, quello che dà voce (e orgoglio) anche alle nostre battute e alle nostre piccole e grandi lotte giornaliere, ma con più incisività e garbo di quanto potremmo fare noi. Da "Ricomincio da tre" in poi - ero al quinto anno dei miei studi in Medicina e il mondo mi sembrava ancora inespugnabile - me ne sono andato per le imperscrutabili e talora ostili strade della vita insieme a te. Tu mi hai solo preceduto. Mi hai aperto la strada. Mi hai insegnato che le miei origini, la mia lingua, la mia natura (con i suoi sberleffi) e le mie storie me le devo portare dietro. Con tenacia e orgoglio Senza presunzioni o vittimismi. Anche un po' sfacciatamente. Proprio come te. Nel mio piccolo, mi sono fatto onore, sai? E se un briciolo di "napoletanità" conta ancora in quello che faccio e dico un po' lo devo a te, che ti fai sempre capire (apprezzare non so) anche da chi non ha orecchie per intendere. È venuto perciò il tempo di ringraziarti, non di commemorarti.