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Comunali, l’inutilità di tante candidature

Opinionista: 

La sequela di ricorsi che ha costellato la tornata elettorale che tra due settimane ci porterà al voto per il rinnovo del consiglio comunale napoletano, dà sì il senso di una forte approssimazione nelle capacità organizzative di coloro che si sono occupati di presentare le liste, ma probabilmente non è questo il significato più denso. Certo, quando, come pure sembra sia avvenuto per alcune Municipalità, si è giunti a dimenticare d’inserire la stessa lista dei candidati tra i documenti prescritti, è evidente che più di qualcosa non ha funzionato. E però a me pare ancor più importante osservare che se tutto ciò è avvenuto, in buona parte lo è stato per ragioni, diciamo così, di contesto. Abbiamo appreso che un numero strabocchevole di liste e soprattutto di candidati è stato è sarà portato all’attenzione dell’elettorato cittadino: la candidatura della coalizione di sinistra capeggiata da Gaetano Manfredi è accompagnata da ben tredici, dico tredici, liste; quella del candidato Maresca, avrebbe voluto sentirsi sostenuta da appena dodici, qualcuna però s’è persa strada facendo; Antonio Bassolino ne capeggia cinque, mentre la candidata Clemente solo tre. Poi ci sono le formazioni minori. Questo per il consiglio comunale; per i consigli di quartiere, s’è semplicemente perso il conto. È chiaro che una tal massa di persone da gestire e di documentazione da predisporre, con trattative condotte – come si è letto, non senza violenza fisica – sino all’ultim’ora doveva produrre errori, disordini e confusione; e le conseguenti espulsioni nulla hanno da vedere con attentati e ferite alla democrazia, bensì solo all’autentico, bramoso arrembaggio che s’è organizzato per ricoprire i pochi posti a disposizione. Perché, in realtà, il vero punto per la democrazia non è l’esclusione delle liste, ma la presentazione di un numero di aspiranti ai seggi, più simile ad un corpo elettorale d’un medio comune italiano, che a misurate schiere di candidati. L’esercito dei candidati in lizza ha un significato, proprio sul piano delle involuzioni democratiche, assai preciso e ben comprensibile. Nessuno potrebbe seriamente negare che un effettivo confronto elettorale, non solo non richiede innumeri candidature, ma anzi resta seriamente pregiudicato quando l’offerta politica si fa sovrabbondante e quindi confusa ed indistinguibile. In teoria, all’elettore dovrebbe essere data la possibilità di discernere tra ben differenziate proposte, di cui si rendano portatori formazioni politiche identificabili proprio in base a quel che propongono ed alle capacità di realizzazione che la storia dei candidati e la ragionevolezza dei programmi consente d’ipotizzare. Quando a presentarsi è invece un’amorfa accozzaglia di sconosciuti nomi che s’aggregano attorno ad improbabili e certamente insignificanti simboli – simboli che non simboleggiano alcunché di diverso dalla pura cupidigia di cariche pubbliche e sottopotere – è palese che la possibilità di dare un senso al voto non tanto si riduce, quanto piuttosto s’annienta. Ed allora, vien da chiedersi, perché tante candidature, quando non servono a valorizzare il voto e procurano anche grane a non finire per chi deve allestirle e metterle in forma decente al fine di produrle innanzi agli uffici elettorali? Beh, lo sanno un po’ tutti: perché il voto ha perso completamente il significato dell’optare per un indirizzo politico ed ha ormai decisamente virato per promuoversi attraverso rapporti personalistici, familistici, clientelari. In una città come Napoli, che d’una sana e competente amministrazione avrebbe assoluto bisogno per non correre il rischio del totale inabissamento, si sedconda invece il voto fatto sul mero scambio personale. Il ragionamento è semplice: più sono i candidati che spingono per un aspirante sindaco, più saranno i contatti personali, le promesse, gli scambi che potranno realizzarsi, permettendo così di accumulare voti accomunati soltanto da un pulviscolo di favori e favoritismi che, in caso di successo, più o meno realisticamente saranno posti all’incasso. Difficile rimediare ad una cultura politica a tal punto disastrata: candidati, anche di rilievo, non si sottraggono e forse non possono sottrarsi ad una sì triste realtà, una realtà che ovviamente non mancherà di far sentire il suo peso quando, all’indomani delle elezioni, quegli eletti condizioneranno l’agire amministrativo in coerenza con il modo che ha fatto loro guadagnare l’ambito scranno. Un modo, per vero, ci sarebbe: e sarebbe nel contenere per legge il numero delle candidature, studiando opportune forme limitatrici. Ma si griderebbe all’attentato alla democrazia da parte dei suoi odierni sacerdoti. I quali, si comporterebbero come i cultori di riti ai quali nessuno più crede e che sono destinati, prima o poi, a scomparire per essere sostituiti da nuovi più fragranti e convincenti.