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Coronavirus: i giovani e le politiche a sostegno

Opinionista: 

L’emergenza pandemica ha messo ancora di più a “nudo” il problema dei giovani, la loro relativa occupazione e adattamento alla nuova realtà sociale. Occorre in primo luogo che il lavoro dei giovani vada messo in un orizzonte "di senso": se il lavoro è una parte preponderante della vita umana, un tratto identitario che ci definisce come persone, questa condizione antropologica è ancora più veritiera per i giovani che devono costruire il proprio futuro nella consapevolezza che il lavoro cambia la realtà, crea nuove idee, produce, trasforma la natura e le persone; il lavoro è relazione con gli altri, è servizio, ha un impatto sociale, cambia il mondo, lo cambia dal di dentro: se viene fatto bene, lo cambia in meglio. Il lavoro impronta le esistenze e, dunque, al centro delle politiche deve esserci il lavoro e non i sussidi e l'assistenzialismo, soprattutto per le giovani generazioni. La pandemia in Europa provocherà un aumento dei disoccupati e, secondo una nota dell'Organizzazione internazionale del lavoro, i giovani sono stati già colpiti in proporzione estremamente più marcata: dall'inizio della crisi uno su 6 ha smesso di lavorare; molti giovani, infatti, lavorano in settori particolarmente colpiti come quelli del turismo, della ristorazione, delle arti, dell'intrattenimento, del commercio all'ingrosso e al dettaglio, mentre altri stanno cercando di entrare nel mercato del lavoro proprio ora che tali settori non sono più in grado di assumere e in un momento in cui, in generale, le prospettive economiche negative impediscono nuove assunzioni. In particolare, una recente analisi ha inoltre rilevato che in Italia circa il 25,5 per cento degli occupati nelle attività definite come "non essenziali" durante il lockdown, su tutte il turismo e la ristorazione, ha un'età compresa tra i 20 e i 30 anni, e che più di 4 giovani su 10 erano impiegati (già prima della crisi) in uno dei settori individuati dallo stesso report come i più colpiti dall'impatto del Covid-19. I giovani avranno quella che già viene definita, quest'anno, come "summer of nothing", un'"estate del nulla", in cui non potranno più approfittare della pausa estiva per accumulare esperienze extra universitarie, senza avere la possibilità di migliorare i curricula per l'ingresso nel mercato del lavoro. L’emergenza Covid-19 ha spazzato via il "tempo della semina" della generazione del lockdown e ha portato alla sospensione o alla completa cancellazione di tirocini, eventi e scambi internazionali; particolarmente colpiti sono stati l'apprendimento basato sul lavoro e gli apprendistati, che sono incentrati sulla formazione pratica e direttamente collegati al luogo di lavoro; con la chiusura delle scuole e dei centri di formazione e l'apprendimento a distanza, l'istruzione e la formazione, che solitamente contribuiscono a correggere le distorsioni delle nostre società, hanno potuto fare ben poco per combattere la povertà giovanile e l'esclusione sociale; per farlo, si devono anzitutto considerare le differenze tra i giovani per politiche mirate, distinguendo tra i giovanissimi che sono ancora a scuola, i giovani che devono scegliere percorsi universitari e postuniversitari, i giovani che si affacciano al lavoro per la prima volta, i giovani che non studiano e non lavorano (i neet), i giovani lavoratori e le giovani lavoratrici con l'esigenza di costruire i propri percorsi lavorativi in rapporto alla famiglia e alle scelte di genitorialità. Speriamo che il Governo si ravveda e faciliti la creazione di posti di lavoro rinunciando a soldi che potrebbe incassare ugualmente a fine anno. Non resta altro che attendere con fiducia e ottimismo.

*vicepresidente nazionale Movimento Cristiano Lavoratori