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Cosa c’è dietro il trasloco della Biblioteca nazionale?

Opinionista: 

Palazzo Fuga, il complesso voluto da Carlo III di Borbone che tutti i napoletani conoscono come Albergo dei poveri, è un cantiere dal futuro assai incerto. Uno dei tanti progetti che si cerca di portare a compimento nella nostra città, e su cui capita però che si focalizzino le attenzioni di chi continua a vedere Napoli soltanto come una “riserva di caccia”, nella logica del prendere quello che c’è, per fare affari. Stessa logica, quella di oltre 35 anni del governo delle sinistre, che sembra caratterizzare anche la recente “uscita” del ministro Franceschini che ha lanciato ufficialmente il progetto del trasferimento della Biblioteca nazionale di Palazzo Reale presso la struttura settecentesca di Piazza Carlo III. Una manovra che fa sorgere non pochi dubbi sul futuro non solo di Palazzo Fuga, ma anche su quello della prossima destinazione degli spazi dove è oggi ospitata la terza biblioteca pubblica d’Italia per numero di volumi custoditi. Siamo nuovamente di fronte a qualcosa che si fonda sulle parole e le promesse, per di più attorno ad un piano la cui fattibilità al momento si regge sul nulla. Innanzitutto perché non c’è la minima certezza sui tempi di conclusione dei lavori e sulla destinazione stessa del complesso di Piazza Carlo III, considerato che i 100 milioni di euro del Pnrr attualmente assegnati a Palazzo Fuga coprono soltanto una parte degli interventi per il recupero definitivo (per il quale, si stima occorrerebbero ulteriori 400 milioni). Senza contare un altro fattore fondamentale, quello relativo alla lungaggini burocratiche - e in Italia, non lo dimentichiamo, i tempi della burocrazia sono biblici - che sarebbero innescate da una operazione del genere. Quello prospettato da Franceschini, dunque, è un progetto che renderebbe di nuovo fruibile la Biblioteca, se va bene, tra decenni. Nel frattempo, però si metterebbe in moto un meccanismo che rischia di arrecare danni incalcolabili alla storia e alla cultura di Napoli. Come ha giustificato, infatti, il ministro, la scelta del trasloco? Con la necessità di maggiore inclusione e accesso alla biblioteca, ipotizzando addirittura spazi di aggregazione per far incontrare i giovani, spazi possibili - ha sottolineato Franceschini - solo con il trasferimento da Palazzo Reale a Palazzo Fuga. Lo so, a pensar male si fa peccato, vero è però che, come era solito ripetere Andreotti, quasi sempre si indovina. E certo non è la prima volta che si parla di “aprire alla città” Palazzo Fuga. Sono passati prima vent’anni e poi oltre 10 da quando, altri ministri, accompagnati da sindaci, hanno parlato di creare spazi per cooperative, centri sociali, giovani e anziani. E poi non s’è mai fatto nulla e, dei fiumi di promesse, sono restati soltanto video che, a riprova dell’ipocrisia di certa politica, galleggiano un pò scoloriti nella galassia senza tempo di YouTube. Ma la verità temo non sia soltanto quella del ‘bla bla’ sulle future opportunità da mettere a disposizione dei cittadini in un tempo indeterminato ma certamente lontato. Io purtroppo sono portato a credere che, stavolta, il vero snodo sia nel futuro dei locali di Palazzo Reale. Non vorrei, infatti, che, mentre parla di aggregazione a Palazzo Fuga, il ministro abbia in realtà soltanto intenzione di consentire la realizzazione di un altro “centro commerciale della cultura”, con buona pace della storia e del significato culturale della Biblioteca nazionale. Ristorante per i visitatori di Palazzo Reale, buvette e magari anche una “bella” area “merchandising”, con tanto di souvenir. La politica della “cultura”di Franceschini in tutto il Paese, del resto, è sempre più quella della commercializzazione di sottoprodotti pseudo culturali che servono essenzialmente agli interessi economici della galassia di cooperative e società tutte riconducibili allo stesso assetto di interessi che ormai controlla monopolisticamente il settore in Italia. Se non bastasse, vorrei ricordare alle anime distratte di questa bellissima e dolente città, specie quelle che si ritengono elette e superiori, che non sarebbe neppure la prima volta che accade una cosa del genere. Nella sede di via Toledo del Banco di Napoli - quello che era il polmone finanziario del Mezzogiorno e uno dei principali istituti di credito d’Europa - oggi opera un elegante ristorante alla moda. Charmant e chic senz’altro per turisti e benestanti, ma espressione della decadenza della nostra economia. Io non intendo tuttavia rassegnarmi al pensiero di chi sempre di più vuole circoscrivere il destino di Napoli alla pizza e agli spaghetti alle vongole, magari accompagnati da mandolino e canzoni. E per fortuna tanti la pensano come me. Sono soltanto rassegnati e credono che questo destino sia ineludibile. Sta a noi fargli comprendere, con proposte, idee e capacità di mobilitazione, che invece non sarà cosi. In fondo Napoli crede ai miracoli e la sua storia è fatta anche di improvvise e straordinarie ripartenze. Sarà così anche stavolta. …”.