Cronache dai palazzi di giustizia: il caso Mugnai
Cari amici lettori, da oltre tredici anni, andato in pensione, ho distolto il mio interesse dal diritto e dalle questioni giuridiche: ne ho avuto abbastanza per oltre cinquantacinque anni della mia vita. Dal diritto, dicevo, ma non dalle questioni umane legate al cattivo funzionamento della giustizia che, purtroppo, in questi ultimi anni, sono cresciute in misura esponenziale. Nordio avrà molto da fare per rimettere un po’ d’ordine e non so se basteranno gli anni della legislatura per sistemare le carenze più gravi. Il problema numero uno è la libertà dei cittadini (ma non solo di quelli), sia positivo che in negativo. Io sono rimasto davvero sconvolto e indignato dalla notizia che si trovasse in carcere Sandro Mugnai, il fabbro aretino che la notte fra il cinque e il sei gennaio ha ucciso a fucilate il vicino albanese Gazim Dodoli, il quale con una ruspa stava facendo crollare la casa addosso a lui e alla sua famiglia. Ora il gip, contro il parere del pm, ha rimesso in libertà il Mugnai dopo tre giorni di detenzione, ma soltanto perché non ha ravvisato pericolo di reiterazione del reato. E ci mancherebbe! Evidentemente il pm, per andar in contrario avviso, avrà immaginato che un vicino intento ad abbatterti la casa con la ruspa capiti ogni notte! Questo in un paese in cui i negri spacciatori di droga, arrestati in flagranza di reato, vengono scarcerati in giornata, benché la laro attività professionale continui certamente senza interruzioni! Non m’imbarco in complicate questioni giuridiche se affermo, in piena convinzione, che lo sventurato fabbro ha agito per legittima difesa. Una legittima difesa reale e piena, non putativa o colposa. Non c’è bisogno di leggere il codice (e tanto meno c’era bisogno di modificarlo): qualsiasi persona con un minimo di buon senso comprende che se un tizio con la ruspa sta facendo crollare la casa addosso a te e alla tua famiglia, se hai un’arma da fuoco, devi sparargli prima di finire al camposanto con moglie e figli. Al contrario, i nostri magistrati inquirenti (e, purtroppo, a volte non solo quelli) sono profondamente allergici alla legittima difesa, come dimostrano gli annosi processi contro i commercianti che hanno sparato ai rapinatori armati entrati nel loro negozio. Tutte le scappatoie, generate da una legislazione ormai frammentaria per le troppe leggine di modifica, sono utili a mafiosi e altri delinquenti associati, ai professionisti del delitto e ai recidivi in genere, ma non servono a impedire che coloro che si sono difesi o hanno commesso azioni non previste dal codice siano perseguitati per anni e rovinati moralmente, economicamente e fisicamente. Io non dico, perché sarebbe follia, che questo è l’unico inconveniente prodotto dall’attuale amministrazione della giustizia in Italia. Sarebbe ingenuo pensarlo quando il caso Palamara ha scoperto un verminaio tipico di società “avanzate” e, del resto, i punti all’esame di Nordio sono molti (anche se non tutti). Ma l’attualità della cronaca oggi propone questo della libertà, che non è certo secondario. Certo, una riforma legislativa non può cambiare il cervello a quanti mancano di buon senso, ma può in qualche maniera convincerli a evitare macroscopici errori. La responsabilità serve a questo e sarebbe tempo di comprendere che più grande è il potere, più grande e il dovere e più grande è la relativa responsabilità. Non è facile, in una società la cui educazione, con il crollo della scuola e della famiglia, è ai minimi termini. Baby gang, scontri fra tifoserie e altri mille sintomi lo palesano. Bisognerà provarci, però, o le cose andranno sempre peggio.