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Da Draghi parole nuove, ma ora servono i fatti

Opinionista: 

«Torno subito». Finalmente il cartello a Palazzo Chigi non c’è più. Mario Draghi lo ha rimosso dalla porta del suo ufficio martedì scorso quando, con un gran discorso pronunciato davanti all’assemblea plenaria del Parlamento europeo, ha tentato d’imprimere un cambio di passo alla cobelligeranza italiana nella guerra russo-ucraina. Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna continuano ad indicare «la vittoria di Kiev» come obiettivo finale della guerra, il nostro capo del Governo, per la prima volta in maniera esplicita, ha detto chiaro e tondo che l’Italia «è pronta ad impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica». Cosa che evidentemente finora non è stata fatta. Insomma, se le parole hanno un senso, il premier dice che l’obiettivo dell’Italia e dell’Europa non può essere lo stesso perseguito dall’oltranzismo di Washington e Londra. Meglio tardi che mai. Da quel maledetto 24 febbraio, giorno dell’invasione decisa da Putin, mai le parole di Draghi avevano marcato una differenza così chiara con l’approccio di chi vede invece nel conflitto l’opportunità di una lunga guerra per procura al fine di dissanguare la Russia. Che peraltro si dissangua benissimo da sola. Nell’attesa di capire se l’ex governatore della Bce ripeterà gli stessi concetti alla Casa Bianca, quando il 10 maggio incontrerà il presidente Usa Joe Biden, anche il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito la disponibilità a lavorare per una «soluzione negoziata che consenta la pace». L’impressione è che l’asse Roma-Parigi potrebbe essersi rimesso in moto per una comune risposta dell’Europa alla crisi: non solo sugli sviluppi della guerra, ma anche per la riscrittura dei trattati Ue in senso federale e solidale. C’è da sperarlo, ma una rondine non fa primavera e gli intendimenti di Draghi e Macron andranno verificati sul campo con atti concreti. Ciò che fin d’ora si può dire, però, è che finalmente si avverte forse la sensazione che l’Europa, o almeno la sua parte occidentale, stia prendendo coscienza del fatto che la Russia va fermata, non sconfitta e spazzata via, come puntano a fare Biden e Johnson. Questo per due ordini di motivi. Primo, perché così facendo l’Occidente consegnerebbe su un piatto d’argento Mosca alla Cina, facendo il gioco di Pechino che è il nostro vero avversario strategico; secondo, perché gli interessi europei sono diversi da quelli americani. Se non ne siete convinti, basta dare un’occhiata a tre cosucce. Innanzitutto le sanzioni: quelle che infliggiamo alla Russia colpiscono le economie europee (specie di Italia e Germania), ma fanno appena il solletico agli Usa, mentre l’embargo energetico sta già dividendo la stessa Europa. In secondo luogo l’ipotesi di un allargamento del conflitto: se la guerra si estendesse, coinvolgerebbe innanzitutto il Vecchio Continente, mentre difficilmente metterebbe a repentaglio la sicurezza degli americani. Infine il rischio nucleare: basta la geografia per capire che il pericolo che corriamo noi europei è infinitamente superiore a quello degli Stati Uniti. Guai se questa asimmetria d’interessi mettesse a repentaglio l’unità euro-atlantica. Sarebbe un disastro. Ma per evitarlo occorre un compromesso. L’alleato statunitense e il suo fido scudiero britannico non possono agire come se gli altri soci del club non esistessero. Devono aprire ad un’intesa che può avvenire solo sul terreno della trattativa. Italia e Francia passino dalle parole ai fatti e coinvolgano subito la Germania e le altre Nazioni euro-mediterranee per lanciare una forte iniziativa politico-diplomatica: l’apertura di un negoziato per un nuovo assetto di sicurezza e difesa lungo l’intera frontiera Est-Ovest, riconoscendo le legittime esigenze di tutti gli attori in gioco. È l’unico modo per provare ad avviare una de-escalation, salvare la sovranità dell’Ucraina e ristabilire una forma di coesistenza competitiva ma pacifica tra Occidente e Russia. Coraggio presidente Draghi, è il momento di agire.