Da Stati generali a stati d’incoscienza
L’epifania delle idiozie. Ci mancavano solo gli Stati generali per completare il libro. Quello dei sogni di Giuseppe Conte e del suo Governo. In Italia si continua a discutere di formule vuote che non sono soluzioni, mentre attorno a noi tutto prende un’altra direzione con una velocità che in Patria ci sogniamo. Noi non riusciamo neanche a metterci d’accordo su come riaprire le scuole, la Germania invece lancia un pacchetto di stimoli mirati, uniti a misure per garantire i flussi di cassa di imprese e cittadini. Quello che dovremmo fare noi e non facciamo. In compenso siamo qui a parlare di Stati generali dell’economia senza sapere bene neanche a cosa debbano servire. Oltre che a perdere altro tempo prezioso, s’intende. L’iniziativa dell’Esecutivo, travolta da polemiche e veleni nella stessa maggioranza, rischia di ridursi a semplice momento d’ascolto con parti sociali, associazioni di categoria e gli immancabili “esperti”. Insomma, un bel giro di giostra mentre l’economia reale si gioca l’osso del collo. Non sappiamo se qualcuno a palazzo Chigi si sia preso la briga di leggere le «proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana» diffuse dalla Banca d’Italia 3 giorni fa. In quel documento non c’è solo l’ipotesi che il Pil possa crollare fino al 13,1%, ma un altro allarme su ciò che potrebbe accadere e che è rimasto inspiegabilmente (o fin troppo spiegabilmente) silenziato dal dibattito pubblico e mediatico. Via Nazionale ha ammesso che neanche nello scenario peggiore «si considerano eventuali effetti, non lineari e difficilmente quantificabili, che potrebbero derivare da episodi diffusi di insolvenza tra le imprese che incidano in misura marcata sulla capacità produttiva dell’economia». È chiaro, no? Per evitare questi «episodi diffusi di insolvenza» è necessario concentrare le risorse sugli investimenti che possono rinnovare e rilanciare il Paese. Altrimenti rischieremo davvero di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro. Dove si possano trovare i soldi per farlo il nostro giornale l’ha spiegato sabato: un piano in 4 mosse che faccia della riprogrammazione di tutte le risorse non spese e disponibili il suo perno. È l’unico modo che abbiamo per riorientare rapidamente alcune decine di miliardi, nell’attesa che arrivino gli aiuti europei. Proprio per evitare che in autunno si materializzi il pericolo che Bankitalia paventa e si moltiplichino casi come Ilva e Whirlpool. Per fare ciò non serve entrare negli Stati generali, ma uscire dagli stati d’incoscienza nei quali è piombata la politica italiana. Il plurale è d’obbligo, perché il fenomeno non riguarda solo la maggioranza, ma anche l’opposizione. Il centrodestra si sta mettendo fuori da tutti i giochi possibili da solo. Diviso al suo interno, guidato da un partito - la Lega - che non crede nella coalizione e neanche la cerca, è rinchiuso in se stesso, nell’attesa che arrivi la mitica “ora x” e per incanto ci liberi dal Governo. Un’ora che di questo passo rischia sempre più di coincidere con il termine della legislatura. Questa situazione politica che il centrodestra contribuisce a ingessare, garantisce a Conte una rendita di posizione che gli consente di continuare a galleggiare. Almeno fino a quando non avverrà (speriamo mai) ciò che teme Bankitalia. Quando a rischio c’è la continuità aziendale di tante imprese, infatti, si gioca col fuoco. Per spegnerlo è necessario archiviare la stagione delle marchette e della spesa corrente in cambio di consenso, favorendo finalmente gli investimenti e i produttori. È il momento di parlare un linguaggio di verità per chiamare a raccolta la Nazione intera a un atto di responsabilità. Nessuno può tirarsi fuori. La speranza è che la politica italiana rinsavisca almeno all’ultimo miglio. Prima che la situazione sfugga di mano.