De Masi e il solito piagnisteo del Nord
Non esiste campo dove i luoghi comuni e i pregiudizi siano più radicati dell’argomento Mezzogiorno. In parte ciò è indotto dalla propaganda del Nord che ogni giorno ripete che siamo inferiori, che non sappiamo organizzarci, che è colpa nostra, che siamo antropologicamente sottosviluppati; insomma una sfilza di reprimende più o meno uguali a quelle del tempo di Lombroso. Una odiosa litania che si impadronisce spesso anche di intellettuali meridionali, che trovano spazio nella vulgata prevalente soprattutto se sparano accanitamente contro i loro stessi corregionali. Uno di questi è l’intelligente e per nulla noioso sociologo Domenico De Masi. Ma questo non cambia nulla. L’altro giorno il suddetto dissertando sul tema sottosviluppo del Sud ne ha infilate quattro una dietro l’altro. Idiozie allo stato puro. Commentava un testo di Francesco Saverio Nitti, che accusava lo Stato unitario di aver devastato il Sud (ma questo De Masi se lo scorda), ed elencava che la colpa è: 1. della depressione economica; ma il pil del Sud è inferiore per la mancata erogazione di servizi e soldi che lo Stato trasferisce al Nord, in pratica la verità storica è che Milano ruba ed è una città assistita, ha più soldi di Napoli, dicono che produce di più, però non dicono che negli ultimi anni il Sud ha regalato al Nord 80mila laureati, il cui costo medio è di 200mila euro, spesi dalle nostre famiglie. Questi parametri che sparano i nostri intellettuali fanno spesso ridere: l’economia della Padania vive predando tutto e ci usa come un mercato coloniale, siamo una colonia, lo sa De Masi? Basterebbe studiare i fondamentali di sociologia della scuola francese, ma suppongo che nelle lottizzate università italiane il tema colonizzazione sia tabù. 2. la patologia dei rapporti sociali viene indicata come una causa dell’arretratezza; fa specie che un sociologo non sappia che la gemeinschaft napoletana sia originata dalla marginalità in cui l’hanno fatta precipitare Roma e i governi degli ultimi 170 anni, mi piace solo ricordare che a Napoli per 50 anni dopo l’unificazione non furono costruite scuole, e questo dovrebbe far piangere De Masi e la cricca razzista che lo applaude. 3. La vita pubblica contaminata (terzo punto di critica): ovvio che ci rappresenta viene eletto per clientelismo e robbaccia varia, ma se la gente non ha reddito che deve fare? Se non ha soldi per mandare i figli a scuola? Logico che le sacche di devianza aumentano vertiginosamente, il piagnisteo della Padania, ovvero il popolo che piange e fotte a dirotto, dovrebbe invece indurli a ragionare e capire che le misure di sostegno al reddito sono una vera rivoluzione e una misura sana. Invece la gran parte dei media romani e padani, siccome quei soldi sono spesi in gran parte al Sud e vanno al 99% a famiglie disagiate, non vede l’ora di armare le sue falangi per buttare fango, ben sapendo che in tutta Europa la gente povera viene aiutata. 4. La capacità organizzativa; eccoci, va bene, non siamo organizzati? Ma vogliamo citare la capacità organizzativa del Consiglio superiore della magistratura, che lascia da decenni sotto organico tutte le procure del Sud? È vero che al Csm si occupano di posti e poltrone e il loro obiettivo non è la giustizia uguale in tutta la nazione, ma sociologi come De Masi invece di sparare contro la croce rossa di un Mezzogiorno depredato, senza fondi, senza diritti, se la prenda con i professori del Csm, ad esempio, faccia analisi per capire che senza giudici si aiuta la camorra; oppure parliamo della capacità organizzativa delle Ferrovie dello Stato che da decenni insieme ad Alitalia hanno deciso di cancellare le nostre regioni da piani di sviluppo o di investimento. Ecco De Masi ha tanti casi di incapacità amministrativa e manageriale da analizzare, lo faccia, e lasci stare una società precipitata nel caos per colpa spesso della classe intellettuale romana e padana (la nostra non esiste in quanto decimata da una guerra che ci ha privato perfino del Banco di Napoli, e con una società come la Whirlpool che chiude solo perché i suoi manager sono in Lombardia e non vogliono chiudere gli stabilimenti a due passi dalla sede, salvo non restituire i fondi incassati).