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E Renzi intonò : “Grazie D’Alema”

Opinionista: 

Perché una predica sia efficace occorre che colui che parla dal pulpito sia credibile. Se a predicare l’austerità è un dissipatore, avvezzo a spendere e spandere, non è credibile; se a esortare a tener una rigorosa dieta dimagrante è un mangione che s’abboffa di ogni sorta di manicaretti, non è credibile. Fuor di metafora: quando Massimo D’Alema, che dell’esercito degli arroganti è duce e vessillifero, dà dell’arrogante a Matteo Renzi, non è credibile. Non torneremmo sulla diatriba D’Alema- Renzi, se essa non influisse in qualche misura (come è inevitabile, avvenendo all’interno del partito di maggioranza relativa) sul quadro politico complessivo. Partiamo da una premessa: le accuse che il “lider maximo” rivolge al presidente-segretario non sono del tutto infondate. Che in Renzi ci sia una certa dose di arroganza è innegabile. Il presidente del Consiglio, con il suo proclamato decisionismo, ricorda in molte cose il suo predecessore Bettino Craxi al quale, quanto ad arroganza – sia detto con tutto rispetto – nessuno aveva da insegnare nulla. E troviamo francamente splendida, a proposito della sua furia rottamatrice, la citazione di Gramsci fatta propria da D’Alema: “Una generazione che deprime la precedente, non può che essere meschina. Dite di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte”. Alle affermazioni dalemiane, com’è nel suo stile, Renzi ha replicato sprezzantemente, relegando il suo accusatore nel triste circolo delle “vecchie glorie”. Ma, detto questo, e dato a D’Alema quel che è di D’Alema e a Renzi quel che è di Renzi, cerchiamo di vedere quali conseguenze l’improvvida (così l’avrebbe definita Amintore Fanfani) sortita dalemiana sta producendo all’interno del Pd e nel quadro politico generale. Diciamo subito, senza infingimenti, che se, con la sua presa di posizione, intendeva rianimare l’opposizione antirenziana, magari assumendone la leadership, D’Alema ha fatto flop. L’unico, infatti, che, nella cosiddetta “sinistra dem” è sembrato prendere le sue parti, è stato colui che, per temperamento e per stile politico, è più di ogni altro distante da lui, vale a dire il mite Pier Luigi Bersani che, tuttavia, continua a ripetere, come in un ritornello, che “la Ditta non si tocca” e che l’ipotesi di una scissione non è neanche da prendere in considerazione. Per il resto, soltanto critiche e prese di distanza, anche da parte di coloro che, sino a qualche tempo fa, di D’Alema erano devoti seguaci. Così Cuperlo, da sempre considerato un dalemiano doc, si è rivolto direttamente al suo ex leader per dirgli, con una certa brutalità: “Se tu e gli altri aveste fatto il vostro dovere, forse oggi la montagna sarebbe stata più facile da scalare”. E Matteo Orsini, altra sua “creatura” parla, a proposito dell’intervento del “lider maximo” di “toni degni di una rissa da bar”. D’Alema avrà ora da meditare su come passa la gloria del mondo e, se con la sua presa di posizione, pensava di sfoderar la sciabola per porsi alla testa delle truppe antirenziane, farà bene a rimettere quella sciabola nel fodero perché ben pochi, ormai, nel suo partito sono disposti a riconoscersi nella sua leadership. Quali ripercussioni – ed è questo, alla fin fine, quel che più ci interessa – lo scarso successo conseguito da D’Alema potrà avere sulla situazione politica generale ? Non sembrano esserci, al riguardo, molti dubbi: a trarre i maggiori benefici sarà ancora una volta, inevitabilmente, Matteo Renzi che vede consolidarsi il suo potere all’interno del partito e, conseguentemente, nel governo. Nessuna insidia può venirgli, infatti, da una minoranza divisa e indecisa a tutto, come, del resto, nessun pericolo sembra, almeno per il momento, possa venirgli da un centro-destra che non riesce a ricomporre le proprie lacerazioni, travolto da inesauribili faide interne. Questo è il quadro che, realisticamente, va configurandosi: quello di un premier che continua a navigare con il vento in poppa, soprattutto grazie alla incapacità dei suoi oppositori, mentre sullo sfondo si delinea l’immagine un po’ patetica, di Massimo D’Alema che rinnova l’antica favola di colui che andò per bastonare e fu bastonato.