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Elezioni anticipate: una scelta obbligata?

Opinionista: 

L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è inevitabilmente destinata a ripercuotersi su tutta la politica mondiale. È ancora presto per valutare quale sarà l’impatto di questa vittoria dell’esponente repubblicano sull’Europa e, segnatamente, sul nostro Paese. L’unico dato incontestabile del quale, per quanto ci riguarda sarà bene prendere atto - alla luce di quel che è accaduto negli Stati Uniti - è l’assoluta inattendibilità dei sondaggi. In attesa, dunque, di aver lumi sulle conseguenze americane, troppo importante per essere valutato con superficiale frettolosità, meglio continuare ad occuparci delle vicende di casa nostra. Avevamo scritto, non più di una settimana fa, che un silenzio assordante circondava il dopo referendum. Ma d’improvviso ora (la politica è avvezza a questi stop and go) qualcosa sembra muoversi. Sia chiaro: le forze politiche non sono capaci di fornirci indicazioni sulle cose da fare, preferendo navigare a vista, ma solo sulle loro alchimie e sulle loro alleanze. Ma è già qualcosa, meglio di niente. Corrono, al riguardo, molte voci nei palazzi romani della politica e gli osservatori, concentrando la loro attenzione sul dopo-voto prefigurano gli scenari più vari, anche i più inattendibili. Prevedere quel che accadrà in caso di vittoria del “no” o di successo del “sì” è diventato, insomma, una sorta di gioco di società nel quale molti si esercitano facendo mostra di esser detentori di assolute verità. Facendoci faticosamente strada nelle nebbie create da tante congetture, cerchiamo, allora, di formulare anche noi delle ipotesi restando, tuttavia, quanto più possibile ancorati alla realtà. Ci sembra utile, a tal fine, partire da una constatazione. L’attuale, interminabile campagna referendaria è cominciata all’insegna di un tema che l’ha in larga parte condizionata, avallata dallo stesso presidente del Consiglio: quello secondo cui, in caso di vittoria del “no”, Matteo Renzi dovrebbe fare le valigie, abbandonare il governo e, forse, addirittura, la stessa vita politica. Il trascorrere del tempo sembrava aver fatto giustizia di questa teoria, peraltro rinnegata dallo stesso diretto interessato (che ora, però, sembra riproporla). E nel Pd, a ritenere che Renzi dovrà dimettersi se perderà il referendum, sono rimasti, ciascuno con i propri scudieri, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani che non riesce ad accettare che Renzi sia al posto che egli riteneva gli fosse destinato e che, dopo aver posto quale condizione per dire “sì” al referendum, la modifica della legge elettorale, dopo aver ottenuto l’adesione del premier alla sua richiesta, ha detto - non si è ben capito con quale pretesto - che voterà comunque “no”. Conoscendo i due personaggi, il comportamento di D’Alema non stupisce; quello di Bersani sì. Ma torniamo alle prospettive del dopo referendum dalle quali si evince la forte possibilità di un anticipato scioglimento delle Camere che potrebbe condurci alle urne con un anno di anticipo, vale a dire nella prossima primavera. Delle due l’una: o vince il “sì” o vince il “no”. Ma in entrambi i casi l’ipotesi di elezioni anticipate si fa concreta. Nel primo caso Renzi potrebbe voler approfittare del successo conseguito per consolidare la propria posizione e regolare i conti con i suoi oppositori; nel secondo perché vorrebbe cercare la rivincita e, contemporaneamente, i suoi avversari vorranno disarcionarlo attraverso il voto. Ovviamente lo scioglimento delle Camere non potrà non essere preceduto dal varo di una legge elettorale. Ed è qui che si apriranno, con ogni probabilità, nuovi giochi e si realizzeranno nuove alleanze, diverse da quelle referendarie. Si fa sempre più largo, infatti, il convincimento che il Pd renziano e Forza Italia saranno portati ad un’intesa per far sì che venga approvata una legge che, quantomeno, non favorisca la vittoria elettorale dei grillini che, a dar retta ai famigerati sondaggi è possibile e che è vista, sia nel Pd che in Forza Italia, come un autentico spauracchio. A quel che si dice, se vincesse il “no”, Mattarella sarebbe orientato, in caso di dimissione di Renzi, a dargli un nuovo incarico, ma quest’ultimo rinuncerebbe. Preferirebbe - si sussurra - che l’incarico venisse dato a Padoan per varare la legge di stabilità. Lui resterebbe alla guida del Pd per concentrarsi sulla legge elettorale, preparare le elezioni e, magari, il congresso del partito. Sono voci, ipotesi, illazioni, frutto non soltanto di fantasia. Si vedrà. Quel che è certo è che, qualunque ne sia l’esito, dopo il voto molte cose cambieranno.