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Ergastolo e carcere duro, la Costituzione violata

Opinionista: 

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” è scritto nell’art.27 della Costituzione. Ma è stato subito violato con le condanne all’ergastolo, il carcere a vita, previsto dal Codice Penale fascista e che la magistratura non ha saputo o voluto abolire cambiandolo in una carcerazione lunga ma con un termine, dopo il quale il condannato torna nella società, auspicabilmente rieducato, avendo scontato la pena inflittagli. La pena dell’ergastolo non esiste in nessun altro paese europeo, compresa la Francia che, dopo l’abolizione il 3 ottobre 1981 della pena di morte mediante il taglio della testa con la ghigliottina, l’ha sostituita con una carcerazione a termine. Ma l’Italia non l’ha ancora fatto e, non ostante le condanne del Consiglio europeo dei diritti dell’uomo che lo ritiene“una forma inumana di carcerazione”, continua a seppellire i condannati per mafia, terrorismo e omicidio sotto una quantità di ergastoli. Totò Riina ne ha avuti 27, quasi non ne fosse bastato uno solo . E lo ha scontato fino al 17 novembre 2017 quando è morto dopo 24 anni di carcere duro. Gli altri 26 ergastoli non saranno mai più scontati. L’articolo 27 è stato violato anche dal così detto “41 bis”, il carcere duro che il condannato per mafia deve scontare in una cella di due metri per tre, con un wc e un lavabo, dalla quale può uscire un’ora al giorno, senza contatti con altri carcerati. Lo scopo è “impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio”. Lo ha voluto Giovanni Falcone quand’era direttore generale degli affari penali al ministero di via Arenula. E dopo la strage di Capaci del 1992 la carcerazione è stata resa ancora più dura. Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di vita dei condannati sottoposti al regime del 41 bis. Gli ispettori rimasero sbalorditi e indignati dalla disumanità di questa forma di regime carcerario e non esitarono a definirlo inumano e degradante perché i detenuti sono privati di tutti i programmi di attività e sono completamente tagliati fuori dal mondo esterno. “La durata prolungata delle restrizioni provoca effetti dannosi che si traducono in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili”, fu la conclusione degli ispettori. Il 22 ottobre prossimo la Corte Costituzionale dovrà decidere se l’ergastolo e il regime del 41 bis possono considerarsi legittimi oppure in contrasto con l’art.27. In questo clima non poteva non sollevare polemiche l’ennesima richiesta degli arresti domiciliari di Giovanni Brusca, il mafioso che, arrestato nel 1996, è stato condannato all’ergastolo ma, dopo essersi pentito e diventato collaboratore di giustizia, ha avuto una pena di 30 anni. Ridotta a 25 per la sua fattiva collaborazione all’arresto di molti mafiosi pericolosi. E l’ex presidente del Senato ed ex magistrato Pietro Grasso gliene ha dato merito. Ma non va dimenticato che Brusca è stato un mafioso particolarmente spietato, che ha ucciso centinaia di persone, che ha affogato con le sue mani un ragazzino di tredici anni, figlio di un mafioso pentito, o poi la ho sciolto nell’acido, che a via Pipitone ha fatto saltare in aria l’auto del Procuratore Capo di Palermo Rocco Chinnici e che a Capaci ha premuto il pulsante dell’autobomba che ha ucciso Giovanni Falcone, la moglie e i poliziotti delle scorta. Perciò è stata accolta con favore la decisione della Suprema Corte di Cassazione di non concedergli gli arresti domiciliari e di fargli scontare in carcere l’intera pena. Capisco il turbamento, lo stupore, la delusione, la rabbia di vedere fuori dal carcere un pluriomicida come Brusca ma l’art.27 non fa distinzioni tra carcerati mafiosi e condannati per violazione al codice della strada. Talché o lo cancelliamo oppure aboliamo ergastoli e 41-bis. La loro contraddittoria coesistenza non è più tollerabile.