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Giancarlo Siani e la memoria tradita Trentennale tra errori, omissioni e silenzi

Opinionista: 

di Roberto Paolo
NAPOLI. Nel “Roma” di ieri segnalavamo con una foto come sul luogo dell’omicidio di Giancarlo Siani, in via Romaniello (già Villa Maio), alle spalle di piazza Leonardo, sotto alla lapide che ricorda il suo martirio, nessuno si fosse recato nemmeno per porre un fiore nel giorno del trentennale della sua morte (23 settembre 1985). Tutto il circo mediatico era concentrato sulle rampe di scale intitolate dal Comune a Siani, distanti qualche centinaio di metri, dove c’è un’altra lapide che ricorda il giornalista “abusivo” ucciso a soli 26 anni dalla camorra. Uno strano modo di coltivare la memoria di questo martire civile, scrivevamo ieri, lamentando che ormai da tempo la maggior parte dei napoletani è portata a credere che Siani sia stato ucciso sulle omonime rampe, invece che in via Romaniello.
Tra l’altro, aggiungiamo di sfuggita, non si comprende perché quando Villa Maio è diventata strada comunale sia stata intitolata ad un mediocre musicista di Somma  Vesuviana anziché al cronista innocente che in quel luogo è stato ammazzato. Il Comune ha preferito Vincenzo Romaniello, e ha relegato Siani su delle rampe che poco hanno a che vedere con il suo percorso di vita e con la sua tragica, ingiusta morte. Anche questo uno strano modo di onorare la sua memoria.
Le nostre lamentele di ieri, però, sono state superate da un fatto forse ancora più grave. L’ex giornale di Giancarlo Siani, che ogni anno lo commemora con premi, cerimonie e discorsi, ha pubblicato in prima pagina, ieri, la foto della deposizione di una corona di fiori da parte del sindaco Luigi de Magistris sulle rampe Siani, accompagnando la foto con l’incredibile didascalia: «Rampe Siani. La cerimonia sul luogo dove venne ucciso Siani». Persino loro ignorano il vero luogo della morte dell’ex giornalista “abusivo”.
Stupisce e addolora un simile tradimento della memoria. Come qualche settimana fa ha addolorato vedere lo stesso giornale che fu di Siani ignorare completamente la notizia delle minacce camorristiche ad un nostro giovane cronista di giudiziaria, Fabio Postiglione, la cui auto ed il cui scooter, parcheggiati sotto casa, sono stati ripetutamente oggetto di vandalizzazioni. Il gravissimo episodio di intimidazione ad un giornalista che quotidianamente si occupa di fatti di camorra è stato oggetto di comunicati dell’Ordine dei giornalisti e del Sindacato dei giornalisti campani. L’ex giornale di Siani, campione della difesa del giornalismo anticamorra, ha ignorato anche questi comunicati.
Sempre in tema di memoria e di Siani, su un altro giornale locale, proprio ieri, è apparsa un’intervista al magistrato Armando D’Alterio, protagonista delle indagini che hanno portato a processi e condanne contro mandanti ed esecutori dell’omicidio Siani. D’Alterio, che siede nella giuria del Premio Siani assieme, tra gli altri, alla Fondazione Polis presieduta dal fratello di Giancarlo, Paolo Siani, afferma nell’intervista che quell’assassinio «a trent’anni di distanza, ha ancora zone di penombra». D’Alterio sostiene una cosa profonda (e tenacemente, platealmente smentita proprio in questi giorni dall’ex giornale di Siani): «La verità è troppo grande per poter essere accertata. Oggi conosciamo la verità giudiziaria, ma se vogliamo quella storica allora ci vorrebbe un altro Giancarlo Siani». Così, il magistrato invita i giornalisti ad un’opera di approfondimento della vicenda, andando al di là della verità giudiziaria: «Se volete davvero conoscere la verità storica, dovete andare a rileggere le centinaia di pagine di atti giudiziari sul caso, proprio come faceva Siani con le sue inchieste». E poi aggiunge ancora, per maggiore chiarezza: «Si è accertato tutto? Sicuramente no, per la complessità di quella verità. Di certo si è indagato tutto. Si leggano però quelle sentenze: solo così si potrà onorare la memoria di Giancarlo». Giustissimo.
Il dottor D’Alterio però non ci dice dove andare a leggere quelle sentenze, quelle centinaia di pagine di atti giudiziari, né ce lo spiega la giornalista che lo intervista. Intervistato ed intervistatrice fanno finta di ignorare che quegli atti non sono a disposizione del pubblico, o almeno non lo erano fino a due giorni fa. Non li conserva l’ex giornale di Siani, non li conserva la Fondazione Polis, non se li trova nemmeno la famiglia di Siani e non li hanno neppure gli avvocati che si occuparono del caso. E se qualcuno invece li ha, li tiene gelosamente conservati nei propri cassetti. Nessuno ha mai pensato di renderli pubblici.
Esattamente come per il luogo in cui Siani è stato ucciso, i documenti giudiziari in cui si ricostruiscono protagonisti e moventi di quell’omicidio sono volutamente ignorati, taciuti, nella migliore delle ipotesi tenuti in nessun conto. Un altro grave tradimento della memoria di Giancarlo Siani. Un tradimento doloso, però, non soltanto una disattenzione.
D’Alterio e la sua intervistatrice, così come l’ex giornale di Siani, hanno fatto finta di non sapere quello che era da giorni su siti internet e comunicati stampa e lanci di agenzie: cioè, che quella massa di documenti giudiziari, faticosamente raccolti dal sottoscritto nel corso di due anni, è finalmente stata resa pubblica, proprio nel giorno del trentennale della morte, con la creazione di un archivio digitale disponibile a tutti online, grazie alla Fondazione Trame Festival di Lamezia Terme (organizzatrice di un festival della letteratura antimafia), che ha scannerizzato i documenti da me donati e li ha resi pubblici sul sito www.tramefestival.it.
D’Alterio, il giornale che lo ha intervistato e l’ex giornale di Siani hanno omesso di dire che quelle carte sono state raccolte, analizzate e studiate, e sono state riassunte e vagliate criticamente, nel mio libro “Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani” (Castelvecchi editore), e che sulla base dei nuovi elementi, documenti e testimonianze riportati in questo libro, la Procura di Napoli ha oggi in corso nuove indagini sull’omicidio Siani, proprio per appurare quello che D’Alterio chiedeva di appurare: se la verità storica sia ancora da accertare pienamente, dal momento che la verità giudiziaria che è stata raggiunta fin ora «non ha accertato tutto», per dirla ancora con le parole di D’Alterio.
Omettere la verità, sbagliare il luogo dell’assassinio di Siani, tacere su un giornalista minacciato dalla camorra, ignorare deliberatamente che un’inchiesta di giornalismo investigativo ha avanzato nuove ipotesi su mandanti ed esecutori dell’omicidio Siani e che, su questa base, le indagini sono state riaperte dalla Procura, credo rappresenti un tradimento profondo della memoria e dell’esempio di Giancarlo Siani.
Così come mi pare grave tacere la circostanza che tutta la documentazione su quei processi ha dovuto viaggiare fino in Calabria per trovare spazio e pubblica divulgazione. Questo sì è stato un contributo pratico e concreto alla memoria di Giancarlo Siani. Il resto sono chiacchiere, chiacchiere e distintivi.