Girace, 50 anni dopo, nella storia dell’arte
Ci sono storie, forse minori, che a cadenze cicliche meritano di tornare a galla, di ritrovare il metro del loro valore. Piero Girace, uno degli intellettuali più attenti del Novecento, ci ha lasciato oggi da 50 anni. Ci resta il suo patrimonio prezioso: libri, articoli, recensioni, testi critici misti a passioni, misteri, abissi d’ arte e di tensioni. Un mondo straordinario posato su migliaia di pagine che, ancor oggi, ci fanno compagnia col tratto istrionico e leggero della sua scrittura. La sua era una nobile famiglia di Gragnano. Il padre, il barone Francesco, era stato consigliere provinciale a Napoli e sindaco locale. Ma lui amava il giornalismo. E a 19 anni era già in campo su “Il Mattino Illustrato“ dove pubblicava novelle con trame complesse, di profilo internazionale. Si firmava come Michele Grigorieff, uno pseudonimo russo che gli portò fortuna. La sua storia decolla lì. Aumentano subito le collaborazioni e i contributi. Per anni scrive per il “Roma“, uno dei quotidiani che ha più amato. Poi, “Il Mattino “, “La ruota di Napoli“ e, negli anni, è inviato speciale delle maggiori testate giornalistiche italiane. Intrigante il suo rapporto con la cinematografia. Con il documentario “Viaggio ad Anacapri“ vince il “Premio Napoli“, si distingue per il cortometraggio “Tavolozza napoletana“. Ma la critica d’arte è una delle sue armi più attente e raffinate. I suoi saggi monografici legati ai protagonisti dell’ arte italiana sono ancora, dopo mezzo secolo, un prezioso punto di riferimento culturale. Apprezzava anche gli artisti meno conosciuti e popolari. Anche loro, a suo avviso, meritavano una seria indagine artistica perché “il miglior critico resta sempre il tempo“, una affermazione tanto scontata quanto speciale che conferma labirinti e capricci del mondo dell’arte. Ma tra le sue sottolineature, la pittura meridionale col suo straordinario planisfero di pittori eternamente emergenti, spesso ricacciati nel buio delle attese. Giovanni Brancaccio, Antonio Bresciani, Luigi Crisconio, Emilio Notte, Mario Vittorio, Eugenio Viti, solo per citare i capolettera. E dietro di loro, centinaia di scoperte che illuminano storie secondarie, artisti minori, protagonisti dimenticati, una tavolozza di personaggi che lasciano tracce soprattutto per la straordinaria passione di Girace. Poi, l’universo di Castellammare di Stabia, una patria incantata dove vive tutta la sua vita, le sue profumate descrizioni dell’area di Quisisana, le curve panoramiche verso il Faito, il gioco delle funicolari vissute come un pendolo. Stabia con le sue Terme, Stabia con la sua fascinazione, Stabia con i suoi figli migliori. Come Raffaele Viviani, come Ettore Tito, come Pietro Girace, la striscia culturale di un tempo che continua e merita oggi nuovi rilievi critici.