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I Covidioti del debito e il conto da pagare

Opinionista: 

Del doman non v’è certezza. Del debito sì. Il quadro economico dei prossimi 3 anni che il Parlamento ha appena licenziato è mostruoso. Nel senso che fa paura per l’aumento del debito pubblico che impone, senza che nella Nazione si stia sviluppando un dibattito minimamente adeguato alla gravità del problema. Ieri il passivo statale ha raggiunto un nuovo record storico, ma non è nulla rispetto a ciò che ci aspetta. Nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) approvata dalle Camere, le cifre sono state sapientemente occultate nelle solite tabelline per secchioni curiosi. Lì il Governo scrive di voler fare nei prossimi 3 anni altri 300 miliardi di debito pubblico. Avete capito bene. Una bomba che nel 2023 farà lievitare la cifra a 2.903 miliardi. Con le relative conseguenze in termini di credibilità e sostenibilità dei conti pubblici quando, terminata l’emergenza pandemica in Europa o in gran parte di essa, finiranno anche tutti quegli allentamenti normativi da “stato d’eccezione economico” stabiliti dall’Ue negli ultimi mesi. Ma c’è di più: uno si aspetterebbe che di questi 300 miliardi almeno la metà vengano utilizzati per investimenti pubblici aggiuntivi. Quante volte avete sentito il mantra che senza investimenti pubblici la crescita non può ripartire? Peccato, però, che la stessa Nadef preveda che gli investimenti aumenteranno di appena 3 miliardi nel 2021 e di 5 miliardi nel 2022. Insomma, meno delle briciole. Il resto delle risorse, c’è da scommetterci, finirà come al solito in spesa corrente. Al netto della necessità di sostenere i redditi, finanziare la Cassa integrazione e tamponare la perdita di posti di lavoro, possibile che per spingere la crescita restino solo gli scarti? Che ci si debba affidare esclusivamente ai soldi del Recovery Fund che nessuno sa quando arriveranno, visto che in Europa è in atto un pericoloso gioco al rinvio che per noi rischia di essere esiziale? Possibile che nessuno capisca che si allarga ogni giorno di più il divario tra reddito pro capite del Sud e del Nord, ma che entrambi sono gli unici territori europei a non avere raggiunto i livelli pre-crisi prima del Coronavirus? Incredibile. Senza contare che nulla è stato ancora prodotto sul fronte dei progetti per utilizzare gli aiuti europei, e che anche i pochi investimenti previsti saranno fatti con le attuali procedure: campa cavallo. Anche perché, come ha acutamente osservato l’economista ed ex viceministro Mario Baldassarri, questi 300 miliardi di debito aggiuntivo produrranno una crescita addizionale del Pil pari ad appena lo 0,8% circa all’anno per i prossimi 3 anni rispetto al tendenziale, cioè a quello che secondo l’Esecutivo accadrebbe a legislazione vigente. Per capirci: del +6% di Pil che il Governo conta di fare nel 2021, ad esempio, il contributo della manovra governativa sarà di appena lo 0,9%. È la prova che la strategia è fallimentare, destinata a non produrre un incremento aggiuntivo del Pil adeguato alla gravità della situazione. Roba da Covidioti. Numeri che ben presto dovranno fare i conti con i costi dei 4 mesi che abbiamo sprecato, facendoci cogliere impreparati dalla seconda ondata del Covid, e con l’impatto economico delle nuove restrizioni per contenere il virus, che rischiano di rendere le previsioni della Nadef troppo ottimistiche. In questo quadro, fa ridere che Luigi Di Maio chieda all’Europa di fare presto a sganciare i soldi del Recovery Fund perché la pandemia è tornata. Il ministro degli Esteri finge d’ignorare che i fondi per la ripresa non c’entrano un beneamato con l’emergenza sanitaria, visto che per affrontare quella ci sono già disponibili per l’Italia i 37 miliardi a tassi d’interesse negativi del Mes. Che però M5S non vuole utilizzare. È la prova che non si è capita l’entità della crisi e che si continua a fare tutto come prima: le solite lobby, i soliti riti, i soliti errori.