I pericoli del Sì al referendum
Non sono un costituzionalista, ma tutt’al più un osservatore dei progetti politico-parlamentari (alcuni dei quali relativi a correttivi ad alcune norme costituzionali) che periodicamente hanno costituito materia anche vivace di confronto tra i partiti politici. Da qualche giorno è in circolazione un appello di oltre ottanta costituzionalisti che spiegano i motivi che stanno a base di una scelta verso il No al referendum sul taglio dei parlamentari. Il nocciolo dell’argomentazione è una critica preliminare agli aspetti meramente propagandistici di una parola d’ordine tipicamente populista: il presunto risparmio economico derivante dal taglio dei parlamentari. L’argomento clou sbandierato dai 5 Stelle – il risparmio di un miliardo per i cittadini - e del quale, a dire il vero, fece largo uso anche Renzi con un manifesto con la scritta: “Basta un Sì per cancellare poltrone e stipendi”, secondo un calcolo minuzioso pubblicato su “Il Manifesto” del 20 agosto, sarebbe invece di 500 milioni. Si dirà che “Il Manifesto” è un giornale di parte, ma certamente non lo sono gli economisti dell’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli che parlano di un risparmio di 57 milioni l’anno (cioè lo 0,007% della spesa pubblica italiana) pari a 285 milioni. Un altro importante argomento contrario al referendum è la forte riduzione del ruolo della rappresentanza. La conseguenza sarebbe ben evidente: più alto è il rapporto tra numero di abitanti e numero di parlamentari, meno si garantisce una efficace rappresentanza di bisogni, problemi, progetti, difesa di diritti. L’ignoranza poi della storia parlamentare dei paesi europei è macroscopica: dire che con la riforma il parlamento del nostro paese si allineerà a quello dei maggiori paesi europei è un vero e proprio falso storico. In primo luogo perché il confronto deve essere fatto su parlamenti elettivi e non anche di camere non elettive come ad esempio la camera dei lord inglese o ancora il Bundesrat tedesco, che è una sorta di camera alta composta da membri designati dai parlamenti regionali (i Länder). Insomma la proposta di riforma costituzionale si basa non solo su argomenti sbagliati e poco convincenti (primi fra tutti l’antipolitica e la demagogia) ma, se vincesse il Sì, si potrebbero avere conseguenze che peserebbero su tutto il sistema, a partire dalla legge elettorale che, basandosi su una riduzione numerica dei parlamentari, potrebbe avere come esito un ridimensionamento, se non addirittura la cancellazione delle minoranze dei partiti più piccoli. Com’è stato giustamente e autorevolmente sostenuto da Massimo Villone, presidente del Comitato Nazionale per il No, l’eventuale bocciatura del quesito referendario voluto in prima istanza dai 5 Stelle, ma anche da una fetta consistente del Pd, costituirebbe solo un primo passo verso il pieno rinnovamento delle istituzioni parlamentari, a partire da una legge elettorale proporzionale che “renda le assemblee specchio del paese e rimetta nelle mani degli elettori la scelta degli eletti”. Un sistema elettorale diverso, ad esempio il maggioritario con collegi uninominali, potrebbe avere come esito o lo stallo nella ripartizione dei collegi o il formarsi di una maggioranza assoluta di una coalizione che avrebbe così nelle proprie mani l’elezione del capo dello Stato e dei due terzi dei componenti della Corte Costituzionale. Ciò comporta l’urgenza di una legge sui partiti basata su pochi e chiari punti qualificanti: norme che garantiscano la democrazia interna, la trasparenza nell’uso dei finanziamenti, la determinazione e la garanzia dei diritti degli iscritti. “Così si torna alla Costituzione e si avvia la ricostruzione della politica”.