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Il “ventre di Napoli”? No, il cuore e tanto sole

Opinionista: 

I l Mondiale di calcio qatarino ha gettato la maschera. È arrivato il no alle fascette Lgbtq+ dei giocatori, e le polemiche (ipocrite) scorrono a fiumi. Ma anche da noi la ferita sanguina. Solo la Turchia ci batte per crimini omofobi in Europa: e la Campania è zona rossa. Un primato imperdonabile, visto che Napoli è a sua volta oggetto del più spregevole razzismo. In questi giorni si svolgono molti eventi di grande significato sociale, in tutta la regione: ne citiamo tre. Quello che l’Associazione Transessuale Napoletana ha celebrato il 21 novembre nello storico “53” di piazza Dante, per la commemorazione delle vittime di transfobia nel mondo, con la presentazione del best seller “Un’Alice come un’altra” (Giunti). Quello dal titolo “Io rispetto”, che si terrà il 25 novembre a Dugenta (BN), grazie al sindaco Clemente Di Cerbo e al consigliere Fabio Amore, con i volontari del Servizio Civile Universale e il patrocinio della Regione Campania, contro il femminicidio. E quello del 3 dicembre a Sant’Antonio Abate, dove Carmelina Bisogno, presidente di “Insieme contro l’autismo”, riunirà i rappresentanti dei Comuni dei Monti Lattari per accendere un braciere multicolore in occasione della Giornata mondiale della Disabilità. Le iniziative sono tante ma, se vogliamo tornare ad essere la metropoli ispirata e ispiratrice che fummo, simbolo di inclusione e libertà, dobbiamo smettere di scimmiottare modelli altrui, e riprenderci la nostra sacra spontaneità. Nell’immaginario collettivo la nostra città è legata a due opposti stereotipi: quello del “ventre di Napoli”, fra malavita e torri di spazzatura; e quello del “cuore”, che ci vuole stesi al sole e un poco pazzi, perché balliamo e cantiamo pure in mezzo ai guai. La verità è che qui ventre e cuore sono in realtà la stessa cosa: è questo il miracolo napoletano che ci rende(va) unici. Questo il Graal custodito dal Vesuvio. Abbiamo tradito la nostra identità millenaria, credendo più a quello che si racconta di noi, che a noi stessi. Così è cominciata la decadenza. La microcriminalità da bidonville, il degrado autodistruttivo, l’odio verso l’altro. Abbiamo perduto la capacità di fare sistema, e le tante iniziative positive restano isolate. La napoletanità non è la brutale tracotanza di certe serie tv, né quella un po’ bimbominkia della città così bella che ti scordi i suoi difetti: il vero patrimonio di Napoli, tutto da (ri)scoprire, è la sua umanità. Perché noi siamo così avanti, che a Napoli anche il futuro è antico.