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Il Coronavirus aggredisce una società già debole

Opinionista: 

Ho l’impressione – non so se fondata – che il rapporto Svimez presentato e illustrato lo scorso 24 novembre sia passato abbastanza sotto silenzio o, quanto meno, con scarsa attenzione. Eppure esso mostra ed illustra risultati che approfondiscono le differenze economiche, sociali e strutturali che da sempre caratterizzano il divario tra Nord e Sud del Paese. Ed è in questa forbice che si è inserita la pandemia, allargandola ancor di più sotto ogni aspetto: innanzitutto la disoccupazione e poi la carenza e l’obsolescenza delle strutture industriali e, ancor più, delle strutture sanitarie, fatta eccezione di alcune isole di alta qualificazione. Il rapporto segnala un dato generale che incide su tutta la struttura di esso: la diffusione del virus aggredisce un’economia e una società già strutturalmente debole. La crisi economica dal Nord del Paese si è estesa al Sud ed ha assunto il carattere di una vera e propria emergenza sociale che si è ancor più manifestata a causa di un “tessuto produttivo più debole e di un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile”. A tutto ciò bisogna aggiungere il progressivo emergere di una crisi sanitaria provocata “dalla pressione sulle strutture ospedaliere e su tutto il sistema di cura”. A ciò si aggiunga – sempre secondo il rapporto Svimez – l’enorme divario della crescita del Pil che nel Sud sarà dell’1,2% nel 2021 e dell’1,4 % nel 2022, mentre nel Centro-Nord sarà rispettivamente del 4,5% nel 2021 e del 5,3% nel 2022. Così anche nella cosiddetta ripresa aumenterà il divario tra le due macro aree. Un altro dato estremamente preoccupante è l’inarrestabile calo della popolazione provocato nel Mezzogiorno dall’abbandono, secondo i dati del 2018, di 138.000 residenti dei quali 20.000 hanno scelto un paese estero. Non meno grave appare la situazione del mercato del lavoro, giacché secondo i dati Svimez, si profila nei primi tre trimestri del 2020 una drastica riduzione dell’occupazione del 4,5% nei primi tre trimestri del 2020, il triplo rispetto al Centro-Nord pari a una perdita di 280.000 posti di lavoro. Vi sono dunque ampi e documentati “divari di cittadinanza” che vanno dalle precarie condizioni della sanità meridionale – già zona rossa prima dell’arrivo del Covid – al divario scolastico e formativo (un solo dato: i posti autorizzati per asilo nido rispetto alla popolazione sono il 13, 5% nel Mezzogiorno e il 32% nel resto del paese). Insomma, la Svimez non fa che certificare, con l’autorevolezza delle sue indagini e delle sue proposte, la disastrosa situazione del Mezzogiorno, già critica prima dello scoppio della pandemia. Ma il rapporto va al di là della semplice e anonima registrazione dei dati e suggerisce alcune proposte che colgano favorevolmente l’occasione offerta dall’Unione Europea di “orientare gli investimenti agli obiettivi della coesione economica e sociale”. Ma tutto ciò può realizzarsi a condizione di intraprendere un percorso sostenibile di “riequilibrio nell’accesso ai diritti di cittadinanza”: salute, istruzione, mobilità e nell’attivazione di una strategia che valorizzi la prospettiva green e favorisca una strategia euro-mediterranea che coinvolga il quadrilatero Zes (zone economiche speciali) di Napoli-Bari-Taranto-Gioia Tauro. Ma decisivo appare lo sviluppo dell’agroalimentare, sorretto da una bioeconomia green. Un serio e decisivo contributo a tutto ciò può venire da quei luoghi della cultura e della scienza, della politica e dell’economia che al risveglio dal brutto sogno della pandemia hanno il dovere di riformare radicalmente il nostro paese e il governo che lo rappresenta.