Il decreto che serve non è mai stato varato
Il parto travagliato del Decreto Rilancio la dice lunga sulle difficoltà incontrate dal Governo nel fronteggiare la pandemia anche sotto il profilo economico, oltre a quello sanitario. Non vogliamo, tuttavia, sparare sulla croce rossa. Almeno, non in questa occasione. Il nuovo decreto, anzi, sembra finalmente dare ossigeno alle piccole imprese: quelle con un fatturato inferiore a cinque milioni di euro possono ricevere contributi a fondo perduto fino a un massimo di circa 40 mila euro. E, almeno a parole, i tempi dell’erogazione dovrebbero essere abbastanza rapidi, pare entro giugno. In una catastrofe economica di questo genere, si tratta naturalmente solo di un supporto, che non basta a ripianare le perdite. Ma è un supporto che può aiutare chi è in difficoltà. La realtà è che pensare che da questo tunnel si possa uscire con le risorse dell’Unione Europea, dello Stato o delle Regioni significa sognare la luna. Il pozzo di San Patrizio non l’hanno ancora inventato e, per quanto necessarie, le elargizioni economiche non potranno mai sostituirsi alla produzione di ricchezza. Le uniche a poter superare questo momento sono le imprese. Ma, per poterlo fare, devono essere messe nelle condizioni di investire. Tradotto in termini nazionali, questo prerequisito si declina in un solo modo: rivoluzionare la burocrazia. Il vero decreto, quello fondamentale insomma, è il prossimo. È lì che si misurerà la durata effettiva dell’attuale Governo, se non cadrà prima su una buccia di banana del tipo polemica Di Matteo-Buonafede. L’unica strada per arginare quest’anno il crollo del prodotto interno lordo e poi, dall’anno prossimo, provare a recuperare 5 o 6 punti di pil, è fare fuori il potere dei maestri del veto, sfrondare le procedure, consacrare l’autocertificazione come norma di comportamento nei rapporti tra operatori economici e pubblica amministrazione. Qualcuno ha fatto giustamente notare che i tentativi di riforma si susseguono inutilmente da quarant’anni. Bisogna tuttavia tenere conto che, in questi ultimi quarant’anni, l’Italia non ha vissuto un’economia di guerra. Ora, invece, siamo praticamente in queste condizioni. Abbiamo tutte le possibilità di reagire e superare le difficoltà, senza pagare scotti occupazionali troppo pesanti. Ma questa potenzialità è legata, lo si voglia o no, alla sburocratizzazione. Credo che il premier Conte ne sia consapevole. Occorre che lo siano anche le forze della coalizione che lo sorregge. Altrimenti, prima si ritorna al voto e meglio è per il Paese.