Il decreto fa felici soltanto le banche
Un gran casino. Il decreto liquidità, approvato dal Governo dopo giorni di liti e rinvii, aumenta la confusione invece di ridurla. L’unica cosa chiara è l’aiuto alle banche, che beneficeranno di una serie di garanzie statali che potranno gestire per coprirsi dai rischi. Non a caso, ieri mattina a Piazza Affari i titoli degli istituiti di credito volavano. Il problema, però, è che ad attendere il provvedimento erano le imprese. La strada scelta dal Governo è contorta e deludente. Come anticipato tre giorni fa dal nostro giornale, i soldi arriveranno subito nelle casse delle aziende solo sotto i 25mila euro di prestito. Soltanto entro questa cifra, infatti, la garanzia dello Stato sarà del 100% e senza istruttoria bancaria. Di fatto, il decreto potrà dare una mano reale soltanto a piccoli commercianti e artigiani. Buon per loro, ma tutte le aziende che avranno bisogno di prestiti d’importo superiore navigheranno nell’incertezza. Almeno riguardo ai tempi di erogazione dei finanziamenti. Le banche, infatti, continueranno ad effettuare quella valutazione del merito di credito che, nella migliore delle ipotesi, rischia di ritardare l’erogazione dei finanziamenti. In pratica, né più né meno di quello che fanno normalmente. Che cosa succederà a quelle imprese che già prima della crisi navigavano tra l’utile e la perdita? Otterranno i finanziamenti di cui hanno bisogno? E soprattutto quando? Le forche caudine dei rating, del merito e delle valutazioni bancarie restano praticamente intatte. Premesso che occorrerà attendere la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale, ancora una volta - al di là delle intenzioni dell’Esecutivo - a non funzionare sono i meccanismi complessi messi in campo: a parte i mirabolanti moltiplicatori della liquidità pomposamente annunciati dal premier Giuseppe Conte, per i 200 miliardi di garanzie serviranno tre passaggi e l’ok della Commissione europea. Insomma, per farla breve i soldi rischiano di arrivare quando le imprese avranno già chiuso. Dopo un durissimo scontro all’interno della maggioranza, l’Esecutivo ha partorito una decisione da azzeccagarbugli: per i finanziamenti garantiti dalla Sace (la società specializzata nel supporto all’export), alla burocrazia italiana si sommerà anche quella di Bruxelles. Il risultato è che in questo momento nessuno è in grado di dire quando i quattrini arriveranno materialmente nelle casse delle imprese. Si continua a ragionare come se fossimo in un’economia di pace, quando invece ci troviamo in un’economia di guerra. Ieri l’Istat ha detto a chiare lettere che dal Coronavirus deriverà «uno choc economico generalizzato e senza precedenti». Quella del Governo non è una risposta all’altezza della gravità della situazione. Che a palazzo Chigi non abbiano capito la drammaticità del momento è testimoniato dall’incredibile balletto, costato giorni preziosi, con il braccio di ferro tra i ministri Gualtieri e Di Maio per decidere se la Sace deve rimanere sotto il cappello della Cassa depositi e prestiti o direttamente del Tesoro. Scontri e guerre di potere che lasciano di stucco imprenditori e lavoratori alle prese con una crisi economica devastante che rischia di diventare crisi sociale.