Il dibattito sui molti usi della bandiera Cospito
Il dibattito su Alfredo Cospito è tanto complesso nella realtà quanto banalizzato, come spesso avviene, dalla propaganda politica. Quella di destra quanto quella di sinistra, di minoranza e di governo, di garantisti e di giustizialisti. La narrazione cui stiamo assistendo è sostanzialmente: da una parte la propaganda di "mano ferma e durezza con i copevoli" contro clemenza e "mollezza", da parte opposta la versione di "pietà in nome del senso civile" contro barbarie giuridica. È bene fare chiarezza su alcune questioni. Il 41bis è in sé anti-costituzionale, e va visto come misura eccezionale e comunque a tempo determinato, fino a quando ne sussiste la necessità. In nessun caso può essere una pena aggiuntiva ma deve essere una misura eccezionale. Così anche l'ergastolo ostativo, sul quale la stessa Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a legiferare. È anche bene ricordare la vicenda giudiziaria di Cospito. Cospito era già in carcere per aver gambizzato un dirigente Ansaldo (condanna a dieci anni), quando è stato riconosciuto colpevole di aver piazzato due ordigni esplosivi presso una caserma dei Carabinieri a Fossano. In assenza, per fortuna, di morti e feriti, è stato comunque condannato a venti anni di carcere per il reato di strage. Un ossimoro giuridico se vogliamo: se non c'è la strage (e meno male, e ne siamo tutti contenti) come puoi essere condannato per strage? Al massimo "tentata strage". La giurisprudenza è chiara "in tema di strage, deve escludersi la configurabilità del tentativo (...) è sufficiente che l'agente abbia esposto a concreto pericolo l'incolumità di più persone, a prescindere dalla verificazione di uno o più eventi letali". La Cassazione riforma ulteriormente il reato di Cospito e lo ritiene essere "strage contro la sicurezza dello Stato", un reato che prevede la pena dell'ergastolo ostativo, che non permette di godere cioè di alcun beneficio. Premesso che nessuno di noi legittima ciò che ha fatto Alfredo Cospito né simpatizza per le sue azioni, la sua vicenda non può che suscitare qualche non trascurabile perplessità: scopriamo che è possibile essere condannati per strage senza aver ferito nemmeno un gatto. Invece di quindici anni, non ne bastano vent'anni di carcere, ma per la Cassazione la pena deve essere massima. Coloro che invece hanno ucciso, e di stragi ne hanno compiute sul serio, sono quasi tutti liberi o in regime di semi-libertà, in questo Paese garantista a giorni e colori alterni. In tutto questo dibattito la persona, quella reclusa, ancora una volta viene usata, ulteriormente e indistintamente, come oggetto. Della destra al Governo, per mostrare muscoli e fermezza, per la sinistra all'opposizione, per dimostrarsi umanitaria. Ma l'idea generale è che dell'uomo in sé interessi poco o nulla a nessuno. Esempio chiarissimo l'intervento di Donzelli (FdI) alla Camera che arriva a chidere ad Orlando (Pd) se "stanno con lo Stato o con i terroristi" per una visita fatta in carcere: è la prima volta che in Parlamento si accosta il parlamentare che visita con il reato commesso dal visitato. Come se un atto di sindacato ispettivo possa costituire appoggio esterno. E diventa oggetto anche di propaganda anarchica, che lo usa per giustificare attentati e come bandiera di lotta per farne un martire di Stato. E questo circolo vizioso alimenta la propaganda di quella destra forte e intransigente che sembra sempre e più sapersela prendere coi più deboli in nome di una bandiera garantista solo per qualcuno (la vicenda sui rave party è simbolica). Il diritto penale è di una forza straordinaria, ma poggia le sue basi su alcuni concetti semplici e non declinabili: essere uguale per tutti, e applicato a tutti, e consistere in pene umane, inflitte in condizioni di dignità, non deumanizzanti e proporzionali al reato riconosciuto. Se queste condizioni mancano nell'applicazione concreta del diritto penale, l'ingiustizia trionfa. Perché non c'è peggior diritto di quello che vale solo per qualcuno o in alcuni casi (o peggio come strumento di pressione). Esattemente come l'umanità del regime carcerario e delle misure penali in genere sono un tema di civiltà, non di bandiera politica o di propaganda parlamentare. Come diceva Churchill la qualità di una democrazia si misura da quella della vita nelle sue carceri. È là che lo Stato mostra la sua forza, la sua superiorità morale, la potenza del diritto, la garanzia contro il sopruso, l'umanità contro la barbarie. Se non fa questo, non è Stato.