Il dramma dei curdi, un popolo senza
Se dovessi scegliere un evento simbolo di questa drammatica tragedia che si è abbattuta sul popolo curdo citerei la tragica vicenda di Mohammed un ragazzo di 13 anni, una delle tante vittime ricoverate nell’ospedale di Tal Tamir con il corpo straziato dalle bruciature di bombe al fosforo, un’arma talmente devastante la cui utilizzazione è vietata nelle aree residenziali dalla convenzione di Ginevra. Molti corrispondenti di guerra stanno testimoniando che, malgrado la tregua di 120 ore, l’esercito turco sta continuando a colpire obiettivi curdi. Continua così il dramma di un popolo senza Stato, un dramma che ebbe inizio subito dopo la fine della prima guerra mondiale, con la spartizione tra le potenze occidentali e il ridisegno, deciso tra Inghilterra e Francia, delle linee di confine tra gli Stati arabi. L’unico popolo che non vide riconosciuta la propria indipendenza e a cui venne negato il diritto a farsi Stato fu quello dei curdi. Gravissime sono le responsabilità dei paesi occidentali alleati nella Nato con i turchi e protagonisti ipocriti di una condanna soltanto enunciata e mai severamente applicata. L’Onu a sua volta produce documenti di condanna e di richiesta di embargo delle armi turche, tutti rivelatisi inutili dinanzi ai veti nel consiglio di sicurezza. A tutto ciò si aggiunga il cinismo politico- diplomatico di Trump che ritira il contingente americano dalla zona di confine e abbandona i curdi al loro destino. Anche l’Europa dichiara solo a parole la solidarietà al popolo curdo e ipocritamente però continua a finanziare a suon di milioni Erdogan purché chiuda la frontiera alle centinaia di migliaia di migranti che premono al confine. Questo atteggiamento del presidente turco fa da pendant con l’analoga minaccia della liberazione di migliaia di jihadisti- attualmente nelle carceri curde - che si riverserebbero nelle grandi e medie città dell’Europa, con le drammatiche conseguenze che si possono ben immaginare. Ma quella che è in corso non è soltanto un’azione militare spietata che ha come obiettivo l’annientamento dell’esercito curdo e la barbara uccisione di migliaia di innocenti vittime civili. Essa è anche e soprattutto un’operazione di smantellamento di un progetto politico, quello del Rojava la regione al confine con la Turchia, che si ispira ad una costituzione basata su un modello di democrazia diretta a partire da una ideologia libertaria e avanzata che ha decretato e istituito il decentramento, la tolleranza verso le altre culture e le altre religioni, la difesa dell’ambiente e l’uguaglianza di genere, a partire dalle soldatesse curde che combattono fianco a fianco come tutti gli altri soldati. Dinanzi a questo vero e proprio genocidio diventano ipocrite e prive di una reale forza di dissuasione le proteste delle nazioni europee, tutte pronte, ma solo a parole, a condannare il brutale attacco turco e a minacciare non hic et nunc, ma in un futuro indefinito la sospensione della vendita di armi. Una ipocrisia che nasconde la volontà di non rispondere fermamente al ricatto del califfo Erdogan: sanzionatemi e io apro i confini e i campi di concentramento e le prigioni dove sono ammassati tre milioni di profughi. Se veramente alle grandi nazioni europee stesse a cuore il destino della nazione curda, vi sarebbe – come scrive Ginevra Bompiani sul “Manifesto” – la giusta e categorica risposta: aprite le frontiere e non vi sarà versato più un euro e con i miliardi risparmiati provvederemo ad accogliere questi esseri umani, colpevoli soltanto di volere sfuggire alla fame, alle torture, alle privazioni morali e materiali. Le 120 ore della tregua stanno per scadere. L’Europa e il ricco mondo occidentale, culla del liberalismo e della democrazia, si apprestano ancora una volta a girare la faccia dinanzi alla catastrofe umanitaria di un popolo colpevole solo di voler conquistare il diritto ad una patria.