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Il lessico familiare della nuova vita

Opinionista: 

Dovremo abituarci ad un nuovo e sconosciuto lessico familiare, quando tutto questo sarà finito e tutto dovrà ricominciare da zero. E chissà se e quanto saremo preparati. Plateau, distanziamento sociale, vaccino, ricerca, pandemia, Ascierto (sì, anche Ascierto, che ormai fa parte della famiglia, perchè lui è l'amico che può arrivare in qualsiasi momento, senza preavviso, e c'è sempre pronta in tavola una minestra di pasta e ceci e nessuno si sognerebbe di chiedergli: “Come mai sei qui?”). Sono le parole nuove che cominciano a planare nei tinelli delle nostre case, si insinuano nei nostri discorsi abituali, nei saluti incrociando qualcuno in strada, nei neologismi che indosseremo ogni giorno per affrontare il nuovo modo di vivere. Con loro dovremo convivere. Ecco, convivere è un verbo che ha cominciato a far parte della nostra vita il 24 novembre 1980, all'indomani di quel terremoto apocalisse, quando cominciarono a dirci che avremmo dovuto convivere col terremoto. Abbiamo elaborato, metabolizzato e oggi le scosse non ci spaventano più di tanto, perché abbiamo imparato a convivere con i movimenti sussultori, con le faglie tettoniche, con le scale di Richter e di Mercalli. E spesso indoviniamo il grado di intensità, prima ancora che ci arrivi la comunicazione ufficiale dall'Osservatorio del Vesuvio. Perchè l'Uomo è un animale abitudinario, e quando occorre diventiamo sismografi. "La curva ha raggiunto il plateau. È iniziata la discesa". Ma voi l'avreste mai immaginato, fino a tre mesi fa, che i nostri programmi/ desideri/ serenità/ passioni/ bollette da pagare sarebbero stati condizionati dal plateau di una curva? E anche plateau è un'altra parola sconosciuta (chi la conosceva? confessiamo: nessuno) che è entrata a far parte della nostra quotidianità, dopo il primo caffè di giornata con annessa mitragliata di sigarette. La prima domanda che ogni mattina facciamo a noi stessi è: come va il plateau? Plateau è la parola chiave, mentre le bollette continuano ad arrivare implacabili e si accumulano sulla scrivania. E ormai non le apriamo nemmeno più. Aspettiamo che succeda qualcosa, ma non sappiamo cosa, con esattezza. Un vaccino o forse un miracolo, oppure il permesso di ricominciare ad uscire da casa, o magari l'autorizzazione ad abbracciarci. È come quella "pioggia ininterrotta di quattro giorni nella città di Napoli" della Malacqua del mio amico Nick 'o navigante, quando tutti rimanevano in casa "in attesa di un accadimento straordinario". Ora, in questi pomeriggi indolenti trascorsi a non fare nulla, penso al genio visionario di Pugliese che in una stanzetta del “Roma” in via Marina nel 1977 batteva a macchina il suo romanzo. Che aveva ambientato a Napoli, a via Caracciolo, sotto le sponde del Castel dell'Ovo. Ora questa pioggia ininterrotta dura da quaranta giorni e non quattro, ed è planetaria e non cittadina. Mi piace pensare che la simbologia sia simile. E mi piacerebbe chiedere a Nick 'o navigante (il quale dispose che le sue ceneri fossero disperse proprio nel mare antistante il Castel dell'Ovo): Nico', ma quando poi la pioggia si acquieterà definitivamente, e si comincerà a vedere un poco di sole, quando la gente riprenderà ad uscire finalmente libera e a sorridere, quando succederà l'accadimento straordinario, dico, che futuro ci attende?