Il Napoli, icona sgualcita in un portafoglio povero
Non è facile essere tifoso del Napoli, si prendono schiaffi, si sopportano mortificazioni, discriminazioni costanti, si soffre pensando ad una parete modesta e disadorna di trofei, inadeguata per un palmares degno dell'unica squadra della più popolosa metropoli meridionale, dalla nobiltà decaduta e dissestata. Nel decennale vuoto imprenditoriale e nel disinteresse sentimentale, siamo costretti a "pietire" per padroni dalle altalenanti fortune, sull'orlo del fallimento o finito in galera, o che ci rinfacciano, al momento opportuno, la melma, l'oblio da cui siamo stati salvati! Siamo onesti, Napoli perdura nel suo fatale destino di "terra di conquista", dai francesi agli aragonesi, dai normanni agli spagnoli, dai Borbone ai Savoia, ai capitolini. Perfino nella denominazione delle squadre di calcio autoctone si scimmiottano altre società, ma di "Napoli" non esistono scopiazzature. È il sogno dei derelitti, degli eterni sconfitti nella vita, alla spasmodica ricerca di una vendetta, almeno sportiva, consociarsi o scegliere una squadra "pluridecorata" per cui tifare, ed a Napoli, in provincia, in Campania o nel Sud, si concentra un numero impressionante di seguaci sfegatati per la Juve, il Milan o l'Inter. Si assiste ad un paradosso statistico al San Paolo, durante le partite con tali squadre: il divieto per i residenti d'altre regioni non intacca la cospicua presenza dei loro sostenitori, sono dappertutto, in ogni settore. Quando emigrano a Torino, a Milano, o al seguito delle "loro" squadre, ascoltano - a volte partecipano - senza ritegno e onore, ai cori vergognosi che auspicano colate di lava o maremoti sul capo dei napoletani. Anche nel calcio il potere, economico o politico che sia, ha applicato la regola del "divide et impera", cosi da queste parti, dove il campanilismo si stempera nelle processioni e nei riti religiosi, la fidelizzazione calcistica alimenta divisioni, rancori ed odio, che sfociano spesso in selvagge, inaccettabili spedizioni "punitive". A parte qualche inconsistente gemellaggio, su tutti i campi pullulano schiere di bifolchi e caporioni che godono dei propri istinti bestiali ad ingiuriare, a vomitare veleno sui supporters napoletani, anche quando le partite sono tra la "Biellacanonica" e la "Pizzotaurina". L'errore consapevole e offensivo del governo del calcio, in una strana autonomia - altrimenti non sarebbe possibile il "guappismo" autorizzato di una classe arbitrale capace di condizionare con il suo 13% le votazioni amministrative di questo sport asservito alle televisioni ed al mondo sommerso delle scommesse - è derubricare tale malcostume a ragazzate o sfottò goliardici, ma si nasconde qualcosa di più profondo. L'unità d'Italia resta per il Sud ancora un vergognoso strascico colonizzatore, gli ex sudditi delle due Sicilie hanno accolto come liberazione, l'affrancamento dal centralismo pseudofeudale borbonico, e nell'ingordigia della industrializzazione promessa hanno, per generazioni, infoltito le masse operaie al Nord, facendo propri i "gonfaloni societari" dei nuovi padroni. Non è un caso che la maggior concentrazione di anti partenopeismo attecchisce nelle regioni del Sud o fra i discendenti dei loro emigrati interni. Costoro "toccati" da un improvviso, quanto effimero boom economico, sradicati dalle loro terre, masticano piemontese e lombardoveneto, anche nell'ambito calcistico, grazie al raccolto senza sosta di giovani talenti da parte di società del Centro-Nord, per la colpevole inerzia imprenditoriale e scoutistica di questo Napoli dal "blasone asinino", sfrantumato, sin dalla sua fondazioni. Allora, l'orgoglio viene meno, la dignità di un popolo vacilla, come quando qualsiasi affetto familiare presenta risvolti tragici, o ti senti dilaniato nell'anima dal peggiore dei tradimenti, quello di chi hai più caro. A sera, quando i conti non tornano e temi per il futuro, apri il portafoglio inadeguato, trovi un "origami" malandato. È una vecchia foto del Napoli, dal colore azzurro sbiadito, dove il cielo e il mare si confondono in un grigio monotono, inquadrettato dalle laceranti spiegazzature che ricordano i ricorrenti desideri di strapparla a pezzetti, ma non si può, perché memoria e simbolo dolente del proprio Dna. Tutto scorre, si perdono gli affetti più cari, ma il Napoli resta nel cuore, nell'anima, nel portafoglio bisunto, pronto ad impoverirsi ancora per un biglietto, per un'altra partita che restituisca una parvenza d'orgoglio, uno sprazzo di dignità perduta o trasformi i tuoi incubi in sogni.