Il ritorno a Coroglio: ora basta con i rinvii
“Bagnoli è un sobborgo di Napoli nei Campi Flegrei Bagnoli e deriva il nome dall’esistenza di fonti di acque clorurato- sodiche-termali (…). È un frequentato centro balneare e idrotermale, che ha avuto uno sviluppo notevole per i vicini grandi stabilimenti siderurgici”. Ma questa descrizione dell’Enciclopedia Treccani cessò di essere rispondente alla realtà negli anni ’60, quando l’Ilva decise di scaricare sull’antistante spiaggia di Coroglio i rifiuti delle lavorazioni siderurgiche anzicché continuare a smaltirli altrove con le navi che attraccavano al pontile nord. E creò la tristemente nota colmata, i cui veleni (rame, piombo, zinco, amianto, arsenico e idrocarburi policiclici aromatici altamente cancerogeni) cominciarono a inquinare i fondali marini rendendo la balneazione pericola per la salute. Quell’anno scomparirono gli stabilimenti balneari e termali che dall’inizio del Novecento richiamavano a Bagnoli decine di migliaia di napoletani e di turisti ogni anno. La trasformazione di un bene pubblico in una discarica di veleni avvenne nella indifferenza dell’intera città. Tacquero tutti: Italia Nostra, Legambiente, Sindacati, Stampa, Consiglio comunale, mondo culturale e ambientalista. E i napoletani se ne fecero una ragione. Solo dopo trent’anni ci fu un sussulto di indignazione di un gruppo di noi, guidati dal giudice Raffaele Raimondi, quando ricordammo al Parlamento il diritto dei napoletani di riavere la spiaggia di Coroglio. E il 18 novembre 1996 venne approvata la legge n° 582, recante “Provvedimenti urgenti per il ripristino della morfologia naturale della costa di Bagnoli”. La rimozione della colmata, definita “una bomba ecologica da disinnescare” da tutti i ministri dell’Ambiente (Ronchi, Matteoli, Pecoraro Scanio, Prestigiacomo ma non dall’attuale ministro giallorrosso), venne decisa da due Accordi di Programma, quello del 17 luglio 2003 (costo 45 milioni di euro e utilizzo dei materiali detossicizzati per la realizzazione della Darsena di Levante nel Porto di Napoli) e quello del 22 dicembre 2007 (900 milioni di euro per interventi nei porti di Napoli e di Piombino e trasporto via mare dei materiali pericolosi a Piombino per essere interrati in una vasca di cemento). Questi Accordi non furono mai attuati per l’opposizione di un blocco sociale (imprenditori, assessori, parlamentari, giornalisti e architetti) favorevole alla utilizzazione della colmata. L’assessore comunale Nicola Oddati voleva farne l’Agorà del Forum Mondiale delle Culture. Il vice sindaco Sabatino Santangelo voleva trasformarla nella “più bella passeggiata a mare del mondo”. L’architetto Gennaro Matacena proponeva di realizzarvi una Cittadella del mare con un museo e un porto turistico. Il sindaco Luigi de Magistris voleva farne la base operativa delle regate veliche della Vuitton Cup. E il Commissario Salvo Nastasi , quando il 5 febbraio 2015 mi ricevette in Prefettura per esaminare le mie proposte, mi disse: «Per non essere chiamato a rispondere alla magistratura penale e contabile del disastro ambientale catastrofico provocato dalla rimozione della colmata chiederò cosa farne a tecnici di mia fiducia”. Mai saputa la risposta dei suoi tecnici. E la città ha assistito sgomenta a queste vergognose violazioni della legge 582/96. Ora basta. Il Commissario di governo, il presidente della Regione Campania e il sindaco di Napoli devono disporre la rimozione della colmata, e, nel contempo, il disinquinamento dei fondali marini. Senza ulteriori, inammissibili rinvii. In attesa dei risultati del concorso internazionale di idee per Bagnoli bandito da Invitalia.