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Il sentiero antico degli aghi di pino

Opinionista: 

Ho risalito le antiche scale dell'ospedale, dove ho lavorato per trenta anni, da paziente malconcio e impaurito, pieno di quel paradossale bipolarismo diagnostico che pervade ogni medico quando ha un approccio intimo con una patologia: la legge del tutto o niente, del pericolo di vita o di un inutile malanno. Il riferimento personale serve soltanto a concludere - o forse lasciare aperta - una riflessione che abbiamo sviluppato ed affrontato in queste ultime settimane, su questa nostra sanità distrutta e depauperata da troppi insulti economici, strutturali e di gestione sciagurata perpetrati da manager, dirigenti, politici famelici e una parte di sanitari compiacenti per carrierismo sfrenato o per timore di un pretestuoso “apartheid” professionale. Il timore dell'ingresso al pronto soccorso era per la consapevolezza di tornare in un ospedale dimezzato, dismesso con meticolosa ostinazione punitiva nell'ultimo decennio, indotto al fallimento produttivo, con la protervia e l'arroganza campanilistica di una schiatta di ras politici territoriali di periferia, a favore di un’alternativa eretta altrove e mai inaugurata perchè già deficitaria nella struttura dalla nascita. Un paradosso scellerato della politica di risanamento sanitario dei tecnici-soloni della Regione Campania, che con un tratto di penna hanno cancellato una storia d'impegno umano e professionale e inventato un moloch dal nome altisonante ma dai piedi d'argilla: Ospedali Riuniti del Golfo Vesuviano, l'esempio più emblematico dell'insipienza e della deficienza manageriale della pletora dei commissari alla sanità e soci, nominati nella nostra regione. Nessuno è immune da colpe, ed è offensivo il gioco a rimpiattino che ancora oggi destra e sinistra mettono in scena a beneficio di un’opinione pubblica, ormai disincantata e stanca: i tornaconti e le esigenze di parte sono stati rispettati alla faccia di centinaia di migliaia di pazienti, lasciati nel deserto assistenziale e soli con le proprie ansie e paure. Ed appare tardivo, deviante e fumoso appellarsi, come fa ancora in questi giorni il sindaco-chirurgo della quinta città più popolosa della Campania, all'ennesimo commissario straordinario, per lamentare l’ulteriore chiusura del servizio oncologia, quando, senza timore di smentite, ha assistito distratto e colpevole con le sue amministrazioni allo smantellamento dell'unico ospedale degno di tale nome nel Vesuviano, da Castellammare a Napoli, piegandosi, e se ne intuiscono i motivi, ad una logica di privilegio per le case di cura convenzionate e private. Sono tornato lungo il sentiero ombreggiato dai pini secolari, dove il silenzio dell’abbandono riecheggia ancora della frenetica attività professionale di grandi figure operative, dell’umanità interpretativa di un ruolo mai tollerato, sempre vissuto con dedizione e, perché no, con tanta allegria, una fucina di operatori sanitari, che ne hanno nobilitato il nome, affermandosi in altre realtà ospedaliere. In questo lacerante canto del cigno, dove l'agonia dell'assistenza ospedaliera di provincia non conosce sosta, ho avuto la fortuna - perché in questo territorio la buona sanità si coniuga con la fortuna - di essere ricoverato nell'unico reparto operativo, la chirurgia, un’enclave, prodigiosa per gli sforzi quotidiani che i suoi componenti in toto attuano, sebbene da più di 3 anni azzerato, ma che un'amministrazione ambigua riconosce di non poter cancellare, magari a favore dell’altro nosocomio dimezzato e mai completato, assurto in questi mesi agli onori della cronaca nazionale, con la triste nomea di “pericolo per la salute pubblica” e quant’altro. In un certo senso, sono tornato a casa e ho constatato con amarezza l’eutanasia programmata di un ospedale, come sarà a breve per tanti altri in Campania, partendo da particolari rilevanti: mancato approvvigionamento di materiale di supporto come garze, siringhe, prodotti parasanitari in genere, assenza cronica di barelle e lettini sufficientemente funzionali, disponibilità farmaceutica ridotta, un pronto soccorso dove l'improvvisazione dei sanitari sopperisce alle deficienze strutturali desolanti, e dove anche una semplice sutura di primo intervento richiede la presenza di un chirurgo di reparto, se disponibile, perché i medici d’accettazione non osano oltre un pedissequo ed asettico “smistamento burocratico” dell'emergenza. Sono entrato da paziente in quella sala operatoria, dove per anni insieme ai colleghi abbiamo cercato di offrire il nostro onesto contributo professionale, e mentre mi addormentavo tra gli sfottò dei vecchi amici, il profumo inconfondibile dei pini mediterranei si mescolava alla sensazione d'abbandono del farmaco anestetico, ma erano solo ricordi e rimpianti per la mia sanità perduta. Sono tornato a casa, guarito ma non disposto a perdonare gli autori di questo scempio, che ancora camminano indisturbati e tronfi per le strade della città, nei corridoi di un palazzo regionale paludato del niente, mentre ho aspirato a pieni polmoni l'essenza unica del sentiero degli aghi di pino: l'ospedale è il Maresca di Torre del Greco, il reparto è la Chirurgia del dott. Roberto Palomba. Grazie.