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Il trionfo dei demagoghi porta il Sud al capolinea

Opinionista: 

Il capolinea del Sud. Ecco cosa rappresenta la vicenda dell’ex Ilva. È inverosimile che una Nazione degna di questo nome possa decidere un tale suicidio economico. La storia che i franco- indiani di ArcelorMittal - complici l’interventismo ideologico di certa magistratura e la crisi del mercato dell’acciaio - fossero alla ricerca di un pretesto per mollare l’Italia girava da un po’. A fornirglielo su un piatto d’argento ci ha pensato il Governo giallorosso, approvando all’unanimità della sua maggioranza (Renzi compreso, che oggi sbraita come se lui non c’entrasse nulla) l’abolizione del cosiddetto scudo penale per l’azienda, chiesta e ottenuta da un gruppo di grillini che minacciavano di far cadere l’Esecutivo. In pratica, per non chiudere il Governo si rischia di chiudere l’ex Ilva. La vicenda appare paradigmatica di un’Italia allo sbando, preda di giustizialismi e isterismi politico-giudiziari che stanno portando il Sud nel vicolo cieco della deindustrializzazione e la Nazione intera sul sentiero della decrescita produttiva e occupazionale. Solo i folli possono credere di compensare queste scelte dissennate con politiche assistenziali, bonus e prepensionamenti stile quota cento. D’altra parte, questa storia puzzava di bruciato fin dal principio. Era chiaro che vendere l’Ilva a chi dell’Ilva era stato concorrente, implicava il rischio di un pesante ridimensionamento dello stabilimento tarantino. Magari dopo averne acquisito clienti e quote di mercato. Oggi “scopriamo” che ArcelorMittal chiede 5mila licenziamenti per continuare la produzione. Per non dire dei contratti con i quali si stabiliva che, qualora non si sarebbe più prodotto a Taranto, ArcelorMittal avrebbe comunque potuto utilizzare altri impianti all’estero per rifornire i clienti dell’ex Ilva. Nel silenzio generale si è consentito ad un gruppo straniero di sfilare il portafogli allo stabilimento italiano, salvo abbandonare il più grande insediamento industriale del Sud al proprio destino. Il tutto offrendogli la scusa, con una sciagurata mossa politica, per sganciarsi da un investimento promesso di oltre 4 miliardi e dalla tutela di 15mila posti di lavoro. Un capolavoro di difesa degli interessi nazionali. Sono riusciti a fare peggio dell’Italsider a Bagnoli. Dov’erano i nostri governanti mentre si regalavano ad ArcelorMittal i clienti ex Ilva? Come mai nessuno ha fiatato? Chi semina vento raccoglie tempesta. L’Ilva garantisce il 70% della produzione per il mercato interno. Vuol dire che le nostre imprese - meccaniche e metallurgiche in primis - possono acquistare acciaio (che è di alta qualità) a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagherebbero se fossero costrette a comprarlo all’estero. Quindi la morte della nostra siderurgia non sarebbe grave solo per quello che rappresenta in termini di Pil e occupazione - e già questo basterebbe - ma perché verrebbe meno uno dei pochi fattori che consentono alle nostre pmi di restare competitive sui mercati internazionali. Questo nel caso qualcuno pensasse che la faccenda riguardi solo Taranto. È chiaro che siamo al cospetto del proseguimento di quell’opera di spoliazione dell’industria italiana iniziata dal centrosinistra negli anni ’90. Progetto che ora viene portato a compimento dall’accoppiata Pd-M5S. Che anche la Lega abbia partecipato al gioco, riducendo fortemente l’immunità penale col Governo gialloverde - poi abolita del tutto dai giallorossi - dimostra quanto la confusione regni sovrana non solo dalle parti grilline. Alla fine resta la domanda: che Nazione è quella in cui è necessario uno scudo penale per poter realizzare un piano di risanamento ambientale e rispettare i patti con il Governo? E che Nazione è quella dove le principali forze politiche hanno fatto e detto tutto e il contrario di tutto, abolendo e ripristinando le stesse norme varie volte, salvo stracciarsi le vesti contro le decisioni da essi stessi assunte? Nel tempo dei demagoghi c’è spazio solo per i disastri.