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Italicum, un colpo letale per la nostra democrazia

Opinionista: 

Si apre la settimana decisiva per l’approvazione della riforma elettorale, il cosiddetto Italicum. Forse prima di fare qualche considerazione sullo stato dell’arte, è bene riassumere i punti salienti della legge in discussione. È previsto un premio di maggioranza che assegna alla lista vincitrice 340 seggi su 630, cioè la maggioranza assoluta; se si supera la soglia del 40% al primo turno si accede al premio di maggioranza, altrimenti si va al ballottaggio tra le prime due liste; il territorio nazionale è diviso in 100 collegi e per ciascuna lista sono bloccati (cioè scelti dalle segreterie dei partiti o dei leader) i capilista, mentre gli altri vengono scelti con le preferenze; la soglia minima che una lista deve superare per entrare in parlamento è del 3%. Matteo Renzi ha già aperto il fuoco di fila di improvvide dichiarazioni che hanno il neanche troppo nascosto sapore di condizionamenti su ciò che dovrebbe essere la libera manifestazione di un voto parlamentare: la gridata minaccia del tutti a casa se la legge non viene approvata; l’annuncio di ben quattro voti di fiducia; il contingentamento dei tempi nella discussione degli emendamenti. Che la strada non sia così poi tanto in discesa per il governo è testimoniato dal fatto che, non so per quale astruso meccanismo parlamentare, si profila l’ipotesi di spostare la discussione alla prima settimana di maggio; in tal modo si restringerebbero i tempi dell’ostruzionismo e si aprirebbe una possibilità di ridurre il peso del dissenso della variegata minoranza del Pd. Bersani annuncia battaglia, ma pare essere più un richiamo al principio del vincolo di mandato del parlamentare verso l’elettorato e non verso il partito o il premier (ogni deputato è chiamato a votare secondo coscienza su temi così sensibili e non per disciplina di partito o di corrente), che un annuncio di battaglia frontale. E, tuttavia, non si può non dare ascolto all’ex premier quando osserva che in nessuna democrazia le costituzioni e le leggi elettorali le fanno i governi. Ed ha ancora, a mio avviso, ragione quando osserva che la delicatezza della questione si mostra in tutta evidenza se si riflette sul fatto che la legge elettorale si intreccia con la riforma costituzionale. Insomma, detto senza mezzi termini, la legge elettorale modificherebbe surrettiziamente il sistema costituzionale, nel momento in cui verrebbe a configurarsi un governo del premier, con l’aggravante oltre tutto di un presidenzialismo senza contrappesi. Credo anch’io – felicissimo a vedere smentita questa convinzione – che vi sia il fondato rischio di dar vita a un sistema radicalmente diverso da quello lasciatoci in eredità dalla nostra Costituzione, il frutto migliore della Resistenza e del 25 aprile, e cioè un sistema in cui venga ridisegnato il rapporto tra i poteri a tutto vantaggio del potere esecutivo. Nessuno è così storicamente e politicamente sprovveduto da pensare ad una riedizione della legge Acerbo approvata il 3 gennaio del 1925 e che inaugurò l’età del totalitarismo fascista, e, tuttavia, diventerebbe oggettivamente una forma di autoritarismo plebiscitario e presidenziale il processo che muovendo da una legge di riforma elettorale, finisce con l’incidere sulla natura del nostro sistema costituzionale. Lo stesso potere del Presidente della Repubblica verrebbe a essere ridimensionato nel momento in cui la sfiducia o fiducia non passerebbe più per il Parlamento ma verrebbe totalmente demandata al plebiscito popolare. È bene che su questi problemi si apra uno spazio maggiore per la discussione e per il dibattito parlamentare e che si sottragga un momento così importante del futuro del nostro paese alla fretta convulsa del risultato da raggiungere ad ogni costo, anche quello di un colpo letale per la nostra democrazia.