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L’eredità di Scola, il magistero di Rosi

Opinionista: 

Ettore Scola ci ha lasciato da pochi giorni, Francesco Rosi da un anno. Scompare lentamente una generazione che ha fatto la storia del cinema e, per certi versi, la storia del Paese. I due erano legatissimi. Si sentivano ogni mattina, per lunghi dieci anni. Ogni tanto, andavano al cinema, insieme. Discutevano del Paese, di come evolveva, di come declinava. E lo facevano con lunghe passeggiate romane, fino al Pincio. Talvolta per parlare di niente, diceva Scola, magari per intrattenere silenzi. Due giganti legati ad una generazione di cineasti che visse in perfetta simbiosi. Nulla veniva nascosto, tutto era discusso, posto all’attenzione degli amici. Idee, progetti, opinioni. Sin dai tempi del Marc’Aurelio, il giornale satirico che, alla fine degli anni trenta, con vignettisti come Federico Fellini, Ettore Scola, Castellano e Pipolo rappresentò uno straordinario successo editoriale arrivando a sfiorare le quattrocentomila copie. Avevano davanti un Paese da costruire e, successivamente, da ricostruire. Sapevano che il dialogo era la madre di ogni successo e avevano il coraggio di raccontare storie difficili, percorsi alternativi, un cinema di denuncia sociale che, soprattutto per Rosi, era diventata una seconda pelle. Dialogare, interrogarsi costruendo, comunque, un proprio universo. È uno stigma di tutti i grandi registi: Visconti, Fellini, Rosi, Antonioni, Scola. Disegnando ognuno percorsi autonomi che non incidevano soltanto sul cinema italiano. Ha ragione Paolo Sorrentino quando sottolinea che lo stesso Rosi è stato, per il cinema americano che si è occupato di politica, una autentica fonte di ispirazione. Rosi e Sorrentino. Napoletani di diverse generazioni uniti dal filo rosso della creatività e del rigore. Ma soprattutto dall’amore verso un Paese che ha perso il senso dell’ ironia, che sa di dover ricostruire la propria identità ma non sa più come, da un Paese che assiste stancamente allo sgretolarsi della sua natura culturale. E non è solo un problema economico, perché i grandi film possono ancora realizzarsi spendendo relativamente poco. Raccontando le sfumature dei rapporti tra gli esseri umani, i problemi di oggi che sono diversi da quelli di ieri, il tramonto degli ideali e il rinnovato pressapochismo populista. Per la generazione dei registi che ci ha lasciato parlano oggi i loro film, le loro storie, le parole degli altri. Visionari che hanno saputo accompagnare il Paese nella sua crescita tumultuosa, lasciando un mondo che, probabilmente, nelle sue dinamiche scomposte, non riuscivano, ormai, a comprendere, che non parlava più al loro genio inquieto.