La Costituzione merita una riflessione storica
Settanta anni or sono entrava in vigore la Costituzione repubblicana. Il testo porta la data del 27 dicembre 1947 e fu approvato cinque giorni prima dall’Assemblea Costituente. Esso entrò in vigore a partire dal 1 Gennaio 1948. La Costituzione italiana come tutte le costituzioni dell’età moderna rappresenta la legge fondamentale degli Stati. La Costituzione inglese, quella americana promulgata dopo la rivoluzione, quelle francesi di fine secolo XVIII costituiscono una forma di reazione contro l’assolutismo monarchico. I testi costituzionali contemporanei di ispirazione liberal-democratica hanno tutti il dichiarato obiettivo di individuare e definire i diritti fondamentali dei cittadini, ma anche quello di fissare i limiti dell’attività del potere statale. Si spiega così che il primo principio che ogni costituzione democratica stabilisce (e che dunque sta al centro anche della nostra) è quello della distinzione e dell’equilibrio dei poteri e degli organi dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario). Sono questi i punti fondamentali ai quali si ispira anche la nostra carta costituzionale. L’auspicio che mi sento di manifestare è che questo settantesimo anniversario si festeggi evitando al massimo le celebrazioni retoriche o che, almeno, ad esse si affianchino momenti di riflessione storica e di approfondimento critico. Si ha talvolta l’impressione che ad essa si faccia riferimento senza conoscerne fino in fondo non solo le varie articolazioni della seconda parte, ma anche, purtroppo, i fondamenti etici e giuridici condivisi che costituiscono la prima parte. Si ha talvolta l’impressione che non solo il cittadino qualunque, ma purtroppo anche buona parte dell’attuale ceto politico si limiti a sapere che esiste un testo costituzionale senza entrare nel merito dei principi e dei vincoli che esso contiene. Io sono tra coloro che non negano a priori la possibilità che si possa riformare la cosiddetta parte ordinamentale del testo e non sono neanche restio a che si metta mano agli articoli che regolano i diritti e i doveri dei cittadini (nel senso del loro ampliamento e della loro diversificazione rispetto a una realtà storica e politica lontana negli anni). Ciò che a mio avviso non può essere assolutamente messo in discussione – pena lo snaturamento dei fondamenti democratici che ispirarono i padri costituenti – è lo stretto legame tra i principi e i diritti fondamentali, da un lato, e il complesso delle norme, esse sì modificabili nella misura in cui si renda necessario un loro aggiornamento. Molti hanno ricordato l’originale scelta delle forze politiche e degli orientamenti culturali che diedero vita alla Costituzione: quella di non separare i principi anche visivamente, di non adottare cioè la forma del preambolo separata dagli articoli, ma di considerarli come i primi 12 articoli del testo. Basta dare uno sguardo ad essi, per rendersi conto che non si tratta di principi invecchiati o superati, prova ne è che molti di essi sono stati attuati in enorme ritardo o addirittura non sono ancora stati attuati. La declamazione solo celebrativa e retorica non è certo una buona medicina per una democrazia che appare stanca ed appannata e il cui nucleo però resta alla base di una delle migliori democrazie costituzionali europee. Si pensi all’art. 3 in buona parte inattuato quando prescrive il principio della pari dignità sociale dei cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche. Si rilegga l’art. 4 che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro (che certo non è garantito a fronte dell’odierna percentuale di disoccupazione giovanile che viaggia intorno al 35% o dall’aumento del precariato fatto passare per piena occupazione). E che dire poi dell’art. 10 che viene disatteso e ignorato quando – cito il testo integralmente – afferma che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ed infine, siamo sicuri che sia conforme al dettato costituzionale, il ventilato intervento delle truppe italiane in Niger (ma anche quelli del passato, dai Balcani all’Irak)? Certamente no se si rilegge l’art.11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.