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La débacle dell’ordine giudiziario italiano

Opinionista: 

 Quel che sta emergendo dalle indagini che la Procura della Repubblica di Perugia ha in corso nei confronti dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati Luca Palamara supera quanto sino ad oggi, almeno ufficialmente, si conosceva. Fosse vero, sarebbe la débacle dell’ordine giudiziario italiano. Era cosa ben nota che gli uffici giudiziari direttivi fossero appannaggio del potere delle correnti. Ciò significa che la scelta dei capi di Procure (soprattutto), ma anche di Tribunali e Corti d’appello poco avessero da condividere con meriti personali oggettivi e molto con equilibri tra le forze che si dividono il potere dell’Associazione Nazionale Magistrati, Associazione una volta definita in termini assai poco lusinghieri da Francesco Cossiga ,che intervenne in una trasmissione in cui proprio il Palamara (consultabile su YouTube) era ospite. E la definizione non ebbe conseguenze di sorta. Le correnti somigliano molto ai partiti politici che siedono in Parlamento: ammantate da sostegni ideali – quale di destra conservatrice, quale di centro moderato, quale di sinistra democratica – perseguono logiche di schietto potere: assicurarsi i posti più influenti all’interno del campo in cui operano, i partiti, quello della posta in gioco immediatamente politica; le correnti dell’Anm, quello della posta in gioco riservata alla giurisdizione: che non è poco, avendo da fare con i patrimoni, la libertà e la reputazione delle persone. Ma questo, dicevo, si sapeva. Era cosa ben nota che ogni qual volta fosse in questione un posto di rilievo, s’aprisse la trattativa. Che poi si svolgeva, e si svolge, in forme consuete: se la Procura di Canicattì va a Md, quella di Sburbula Massicana va a MI; ma anche Unicost non rimarrà a bocca asciutta perché, o nello stesso giro di nomine (preferibilmente) o al massimo in quello successivo, le sarà assicurata l’importante sede di Carbonia. E via dicendo, di tornata in tornata, di Csm in Csm. Ma le ultime vicende parlano d’altro ed assai peggio che, se maidico fosse vero, sarebbe terribilmente desolante e, quel che è ancor più drammatico, delegittimante. A giudicare da quel che emerge dalle intercettazioni realizzate attraverso il caldo iPhone del dr. Palamara, c’era un bel giro di politici, componenti del Csm ed attivi togati che s’interessava a due nomine: quelle del Procuratore capo di Roma e di Perugia. Quest’ultima Procura, apparentemente appartata, in realtà ha un gran potere, quello d’indagare sui giudici romani: potere grande, evidentemente, quanto i giudici romani meritano indagini, altrimenti nessun potere avrebbe. Orbene, questo interessamento, sempre a quel che è possibile presagire oggi e salva ogni smentita successiva, sarebbe dipeso dal fatto che fosse gradito il collocamento sulle due poltrone eminenti, altrettanto eminenti magistrati con il compito però di moderare la foga investigativa dei predecessori, a quel che pare un po’ troppo impertinenti, almeno dal punto di vista dell’on. Lotti – indagato da Roma – e dell’ex presidente dell’Anm, dr. Palamara, inquisito a Perugia. Quel che poi sembrerebbe dar spiegazione della presenza alle riunioni ‘carbonare’ dell’on. Lotti (non risulta abbia compiti in materia di conferimento di uffici giudiziari) e del dr. Palamara (non più componente dell’Anm, né con incarichi correntizi). Per non parlare della presenza onnipresente del magistrato onorevole Cosimo Ferri. Bene. Questo – a tacere di altre supposizioni relative alla Procura di Gela ed all’interessamento del formidabile avv. Amara – sempre che le ipotesi dovessero dimostrarsi vere, significa qualcosa di molto, troppo grave. Consente d’azzardare – direi più che azzardare – l’ipotesi che la scelta dei capi degli uffici inquirenti avvenga, non tanto su questioni di merito, e nemmeno per ragioni di mera corrente, ma per orientare l’esercizio dell’azione penale a favore o a detrimento d’indagini, a seconda che risultino gradite o sgradite ai signori delle correnti. E non dimentichiamo che ad essere implicato, non è un oscuro magistrato di provincia, bensì l’ex presidente dell’Anm – è ciò apre squarci anche sui meccanismi che portano alla selezione dei capi ‘politici’ della Magistratura – ed uno dei giudici, il suddetto on. Ferri, da sempre tra i più attivi nell’ordine giudiziario in chiave associativa (o politica, se si preferisce). Il problema e serio, perché arriva alla radice della legittimazione dell’attuale assetto magistratuale. Da sempre i giudici resistono alla separazione delle carriere tra Pm e Giudicante, affermando che altrimenti l’azione penale rischierebbe d’essere condizionata dal governo, dalla politica o fors’anche da Belzebù. Mentre, il giudice di carriera sarebbe intangibile, oggettivo, indipendente. Io non ho mai prestato fede a simili fole. Ma mai sia detto dovessero avere conferma quelle cose che si leggono in questi giorni, beh, direi, sarebbe venuto il momento d’un sano risveglio dal lungo letargo e guardare le cose per quel che sono non per quello che si desidererebbe fossero o si gabellano che siano e prendere invece appropriate misure. Ovviamente, non m’illudo, si continuerà a sognare, sin quando il collasso dell’intero sistema non ci tirerà giù dal letto. Ma saran dolori.