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La democrazia diretta per uscire dalla palude

Opinionista: 

Subito e senza perdere tempo. È il presidenzialismo la grande svolta che serve all’Italia. È il progetto pragmatico e sacrosanto per riformare davvero non solo la nostra Costituzione, ma l’intero procedimento legislativo. Solo che stavolta non bisogna tergiversare. Il dialogo aperto da Giorgia Meloni con le opposizioni per discutere nel merito delle proposte è corretto dal punto di vista del metodo, ma contiene in sé un rischio che l’Esecutivo deve assolutamente evitare: quello del pateracchio giuridico per cercare una mediazione a tutti i costi che allarghi il consenso oltre i confini della maggioranza. Meglio una riforma chiara e netta che un testo costituzionale pasticciato per non scontentare nessuno. Tanto alla fine ci sarà comunque il bagno del voto popolare con il referendum confermativo. Insomma, l’ultima parola spetterà agli italiani. Com’è giusto che sia. Proprio per favorire la massima condivisione possibile con le opposizioni, la leader di Fdi ha messo sul tavolo la subordinata dell’elezione diretta del premier in luogo di quella del presidente della Repubblica, facendo così un passo indietro rispetto alla proposta storica della destra. Non si capisce perché, invece, l’abolizione del bicameralismo perfetto sembrerebbe essere stato tolto dal tavolo a priori. Francesco Saverio Marini, il costituzionalista scelto dalla premier come consigliere giuridico a Palazzo Chigi, ha fatto sapere che «non è in discussione il bicameralismo». Ma perché? È un errore. Al contrario, bisogna incidere a fondo anche sulle Camere, in modo che da un lato il Governo abbia la possibilità di applicare il proprio programma, e dall’altro il Parlamento possa tornare ad esercitare quella funzione di controllo sugli atti dell’Esecutivo oggi praticamente ridotta al lumicino. Abbiamo bisogno di un mutamento costituzionale profondo, senza timori ma anche senza tabù. Compreso il capitolo giustizia, che non potrà non essere affrontato nell’ambito di una riforma che voglia essere seria e organica e che invece in queste ore stenta finanche ad essere nominato. Su questo sarà bene che la maggioranza si chiarisca le idee, archiviando divisioni figlie di un tatticismo del tutto fuori luogo rispetto alla portata storica del compito. Intendiamoci, le modifiche della Costituzione vanno varate se possibile con maggioranze non risicate, perché devono esprimere una volontà larga, profonda e duratura. Ma se non ci sono le condizioni politiche per poterlo fare, è stato lo stesso legislatore costituente a prevedere che poi la maggioranza la fornisca il popolo. Proprio per evitare che una minoranza potesse bloccare l’intero processo riformatore. L’atteggiamento delle opposizioni, divise tra loro anche sulle questioni costituzionali, è già chiaro: Renzi e Calenda si sono smarcati da Pd e 5 Stelle rilanciando il premierato, mentre la Schlein è pronta a fare il primo, vero investimento della sua segreteria in un muro contro muro col Governo. La sua speranza è che finisca tutto come sempre: in un nulla di fatto. Ma si sbaglia. Ormai i tempi sono maturi perché la Grande Riforma diventi realtà. Stavolta non basterà sventolare lo spauracchio della svolta autoritaria per fermare il cambiamento che serve alla Nazione. Non c’è più tempo da perdere: bisogna passare dalla democrazia chiacchierante alla democrazia decidente. Peraltro c’è una lunga storia di proposte nella direzione della democrazia diretta: non solo di Almirante, ma di Pacciardi, Craxi, del gruppo democristiano di Europa ’70 e di quello di Milano guidato da Miglio. Tutti pericolosi fascisti? La Costituzione non è un testo teologico, non è madre ma figlia della storia. Una storia dettata dalle contingenze del suo tempo e dalle forze prevalenti di un’epoca oggi totalmente superata. Da tutti i punti di vista. È giunto il tempo di ridare lo scettro direttamente ai cittadini. Solo così potremo uscire dalla palude di una politica sempre meno legittimata.