La lingua napoletana va approfondita all’università
Ho vissuto a Parigi il che mi ha permesso di fare una “bella carriera” nelle ricerche di mercato internazionali. Eppure, una volta finita, sono venuto a vivere a Napoli. L’amo, ma la vedo da un altro punto di vista, rispetto a quelli che ci sono nati. Propongo ai lettori del giornale “Roma”di guardare la loro città attraverso i miei occhi. In questa terza rubrica, vi parlerò di un soggetto di cui (quasi) tutti nel mio quartiere hanno pensato di parlarmi, qualsiasi fosse la conversazione: “Te la cavi bene in Italiano, adesso è venuto il tempo per te di imparare il Napoletano”. La forza di una cattiva idea è irresistibile, quando galleggia nell’aria! In Bretagna o in Corsica isolate dalla Francia, come Napoli lo è dal resto d’Italia, si recupera il gaelico e si impara il corso che sono a soli 30 km di distanza. Anche l’Istituto Francese da dei corsi di Napoletano! Mi sono ricordato di qualche frase di Montedidio, il meraviglioso romanzo di Erri de Luca: “Babbo parla il dialetto e ha soggezione dell’Italiano, ma dice che con lui, uno si difende meglio. Siamo italiani, ma non ne parliamo la lingua. Come se fossimo stranieri, come quelli che se ne sono andati in America. Per me e Mamma tua “nun putimmo”, è troppo tardi, non lo parleremo mai l’Italiano e moriremo in Napoletano, ma tu l’imparerai figlio mio”. Stranieri nel proprio paese, chiusi in se stessi è il destino di tutti quelli che parlano solo il dialetto. Il problema si è presentato perlopiù in Italia dove nel 1861 solamente il 10% della popolazione parlava l’Italiano. È una lingua più ricca, più “spiritosa” dell’Italiano, aveva argomentato la mia signora delle pulizie. Questa espressività colorita è sempre appannaggio dei dialetti volgari. Nel gergo di Parigi, il cuore si dice “il palpitante”: lo si sente subito battere; e invece di vomitare si dice “mazzare”: si immagina bene il mazzo di fiori i cui steli escono dalla bocca di un ubriaco. E il sesso della donna è chiamato “torta di peli”: se ne sente il sapore alla sola evocazione! Se ne sono fatti dei libri perché è divertente e trasgressivo: Frédéric Dard, alias San-Antonio per ciò che riguarda il gergo, come Camilleri con il siciliano. Ma nessuna persona istruita, a Parigi come a Londra, vorrebbe usare la lingua di Gavroche o di Oliver Twist, gli scugnizzi del posto. Vorrebbero invece aprirsi all’internazionale piuttosto che concentrarsi sui dialetti locali. Di certo il Napoletano non è una corruzione della lingua italiana ma al contrario le sue origini sono nobili perché deriva dal latino e molte belle opere letterarie furono scritte in Napoletano prima che l’Italiano fosse introdotto. Nonostante ciò, il Napoletano è divenuto, così come i cugini francesi e inglesi, “un sociolecte”, vale a dire la lingua dei ceti più bassi. Le donne anziane lo gridano con voce rauca da un basso all’altro. Durante una serata al circolo, ho commesso l’imprudenza di esprimere ai miei vicini di tavolo che il Napoletano non è buono per Napoli perché favorisce il suo provincialismo. Con mio stupore non erano d’accordo. Loro, che pure ci tengono a mantenere la distanza con il popolo, difendono il Napoletano! “Non hai capito niente; si tratta della nostra identità, vogliamo restituirgli la nobiltà e l'importanza che merita”, mi hanno risposto. Ho cercato di capire quale fosse la differenza tra Napoli e le altre città come Londra o Parigi. Mi sono reso conto che né gli avvocati né gli architetti né gli altri dottori che sedevano alla mia tavola parlasse bene l'inglese. Non vogliono essere cittadini del mondo, nemmeno hanno voglia di entrare nell'arena per mettersi alla prova. Proprio come Ferdinando II, l'ultimo re Borbone, che sul suo letto di morte mormorò a suo figlio: “Nasconditi dietro lo Stato Pontificio per tenere Napoli isolata”. Non assumeva neanche nessun ministro che non parlasse napoletano e aveva ristabilito gli antichi privilegi... che ancora persistono più o meno. Senza questa politica reazionaria e la repressione violenta delle insurrezioni del 15 maggio 1848, sarebbe stata Napoli e non Torino la prima Capitale dell'Italia, sostiene lo storico napoletano Attilio Wanderlingh. Su un piano storico, la lingua napoletana sarà quindi associata ad una politica reazionaria, che nega il progresso sociale. Questo strano legame è una caratteristica veramente solo napoletana! Non penso che tutti quelli nel mio quartiere che mi hanno consigliato di imparare il Napoletano ne siano consapevoli. Perciò non l’imparerò! L'identità di Napoli contribuisce certamente al suo fascino ma il suo provincialismo nuoce al suo sviluppo, al benessere del suo popolo, così come alla sua immagine, pensavo tra me e me, recandomi al cinema Metropolitan. Una volta in sala leggo sullo schermo che il film è prodotto da IIF, Italian International Film. Questo è ciò che fanno a Milano e che bisognerebbe fare qui. Napoletano, Italiano e Internazionale! Che i giovani laureati studino bene l'inglese oltre all’italiano, per deprovincializzare Napoli, farne una città del mondo, una città prospera e una città del progresso, conservando il suo carattere unico. Come ai tempi di Gioacchino Murat, una classe dirigente illuminata, aperta e capace raggiungerà allora il potere. Quanto al Napoletano, deve essere oggetto di studi approfonditi per conto di studiosi di linguistica all'università. Su un piano culturale è molto interessante, ne convengo certamente!