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La nuova, inedita sfida dell’ex pm

Opinionista: 

La vittoria di Luigi de Magistris è il frutto proibito di una nuova sensibilità politica. Non centrata sui programmi, non riflessa sulle idee, non legata a quanto costruito nei cinque anni della giunta arancione ma tutta proiettata contro Renzi, contro il governo nazionale, contro chi non ama il Sud, contro i grandi giornali che non hanno voluto dare spazio a questa nuova rivolta di popolo. Temi semplici, tribunizi, di facile presa che hanno trovato terreno fertile in una città sfiancata dai suoi problemi quotidiani. Si potrebbe parlare tranquillamente di una partecipazione che disegna al ballottaggio un record negativo di votanti (35, 97%), di un de Magistris che trova il voto finale di un napoletano su quattro, di una serie di “competitor” oggettivamente deboli e limitati che spianano un’autostrada al sindaco uscente, ma non c’ è solo questo. Chi ha seguito, in questi giorni, i social si è accorto di quanto suonasse alta la grancassa degli arancioni. Candidati di ogni genere e tipo, anche sconfitti dall’elettorato, si sono affrettati ad alzare la bandiera del sindaco, a stimolare, quasi militarmente tutti al voto, a sostenerlo nel suo sforzo finale. Un piccolo esercito che, in modo diretto e indiretto è stato coinvolto, in questi cinque anni, nelle dinamiche sociali, professionali, culturali, musicali di Palazzo San Giacomo. Una parcellizzazione infinita che, davanti al nulla che si prospettava altrove, ha saputo ritrovare in de Magistris il suo punto di riferimento, labile, populista, un po’ sguaiato ma comunque utile a continuare quel percorso avviato insieme. C’è, chiaramente, una certa regia sul piano della comunicazione che riporta sul proscenio il fratello Claudio de Magistris, spesso colpito da critiche velenose ma, direi, decisivo, strategicamente, sul risultato finale. Il problema, ora, sarà come riempire di veri contenuti politici l’antirenzismo, il volto della protesta meridionale, una prima rete di necessarie alleanze che vadano al di là del Garigliano. E questa sembra, oggi, la partita più difficile. Il Referendum Costituzionale può sicuramente costruire una nuova ragnatela di rapporti ma occorre coraggio e la densità di una linea politica che, attualmente, manca. Renzi aveva parlato di un voto amministrativo che non poteva incidere sul governo nazionale. Ha intelligentemente capito in anticipo come poteva finire. Ma se la sconfitta di Napoli, per il Pd, è figlia dell’improvvisazione delle sue scelte, se quella di Roma chiama in causa il fragoroso karakiri di Marino, quella di Torino coinvolge inevitabilmente la segreteria nazionale. Fassino, uno degli ultimi allievi di Berlinguer, aveva guidato sapientemente la capitale sabauda in questi cinque anni. La sua sconfitta ha una matrice chiara : il governo nazionale, l’antirenzismo, un voto di protesta che lì era difficile prevedere. I 5 Stelle raccolgono un risultato storico, soprattutto perché collezionato senza alleanze. Ora, per Grillo, è il vero momento della svolta. Essere chiamati a governare, contemporaneamente, Roma e Torino significa realisticamente giocare a dadi col proprio futuro. Sarà un importante prova di maturità che li obbligherà a giocare in primissima fila la sfida del Referendum Costituzionale, il vero, nuovo Palio della politica italiana.