La perdonabile ingenuità del neo sindaco Manfredi
È probabilmente il primo, importante scivolone in cui è incorso il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. L’ordinanza emessa il 30 di dicembre per vietare l’uso di fuochi d’artificio dal 31 di dicembre sino alla mezzanotte del successivo 1, ha peccato in ingenuità. A parte che in città dei fuochi si fa notorio e quotidiano uso al fin di segnalare agli interessati l’arrivo di robuste partite di droga, è ben noto che le spettacolari esibizioni pirotecniche di fine d’anno sono una sorta di rito tribale liberatorio, stabilmente consumato – a Napoli con vissuta intensità – da qualche secolo, salve interruzioni in periodi bellici. Ne fa una pittoresca attrattiva, più o meno edificante, ma tant’è. L’aver pensato d’interrompere questo rito selvaggio con il tremore d’una sbiadita ordinanza sindacale, è stata un’ingenuità forse perdonabile, che però ha contribuito a documentare quanto il senso delle regole sia avvertito e considerato nella nostra, chiamiamola così, comunità. È una situazione grave alla quale bisognerebbe – con mezzi straordinari – provarsi a porre rimedio. Voglio raccontare di due distinte vicende di cronaca, delle quali son venuto ad attendibile conoscenza, che danno, mi pare, efficace il senso del degrado. Qualche giorno fa, m’ha riferito un tassista che già conoscevo, durante il periodo natalizio, un’auto – potente e lussuosa – sostava, con a bordo il conducente e ben scolpita in seconda fila lungo l’angusta via Filangieri, dinanzi ad uno dei negozi importanti, quelli onusti di griffe, per intenderci. Il cavaliere premuroso, presumibilmente, lì dinanzi aveva fatto discendere la sua dama ed attendeva paziente che essa disbrigasse le proprie indifferibili incombenze. Una coppia di vigili, richiamata dai rallentamenti che la premurosa sosta stava provocando, ha ordinato al nostro Lancillotto d’interrompere la sosta e riprendere la circolazione. Il cavalier che era valente, senza far mostra d’una piega, ha continuato nel proprio impegnato compulsare la tastiera dell’immancabile cellulare, e lì è rimasto ottimamente. Nonostante le insistenze dei vigili, nulla c’è stato da fare. Il traffico sofferente, lui indifferente. I due tutori dell’ordine, almeno fino a quando il mio testimone ha potuto assistere, non l’hanno nemmeno identificato, limitandosi ad elevare contravvenzione, contravvenzione che naturalmente ha lasciato incurante il nostro campione, in attesa della sua protetta dama. Secondo episodio, sempre di questi giorni, altro quartiere, altro contesto. Dinanzi all’ingresso d’una farmacia in quel di San Giovanni a Teduccio, quartiere orientale della città, s’era formata una lunga fila di clienti in attesa del taumaturgico tampone. Sennonché, la fila s’era anche allungata di troppo, al punto da giungere sin dinanzi all’ingresso d’una palazzina da tempo ospite d’un rinomato spaccio: spaccio di droghe varie, ça va sans dire. Disturbati nella loro profittevole attività da un eccesso di presenze che impensieriva la selezionata clientela ostacolando i lucrosi commerci, alcuni spacciatori, a quel che è stato riferito da testimone locale, sono usciti dal loro atelier e, pistole alla mano, hanno esortato i clienti della farmacia ad allontanarsi, costringendo l’esercizio sanitario alla chiusura. Che si è prolungata sino a quando, chiamati rinforzi dalle locali forze dell’ordine, non è stato possibile fargli riaprire i battenti, non so con quanto richiamo di nuovi avventori. Ultimo dato. Il Questore di Napoli, tra i migliori funzionari della Polizia di Stato attualmente in servizio, ha denunciato nelle sue notazioni di fine d’anno che, a Napoli, la Camorra è dappertutto; ed è dappertutto, come ha ricordato per suo conto il parroco di Casal di Principe, soprattutto come forma mentis, come atteggiamento nella vita sociale. Gli esempi potrebbero a lungo moltiplicarsi ed è nell’esperienza di ciascuno che è possibile attingere per averne conferma. Però, non è possibile nascondersi che ci sono ormai troppi fatti troppo gravi, emblematici, rappresentativi d’un degrado civile di proporzioni fuor di misura. Che nel pieno centro cittadino – il singolarmente definito ‘salotto della città’ – taluno possa assumere, e vittoriosamente, un atteggiamento arrogante di tal segno, fino al punto da opporsi all’ordine dell’autorità e arrogantemente permanere con bronzea imperturbabilità nella violazione d’elementari norme del codice della strada; che questo sia possibile, non può esser considerato atto isolato d’un folle reso invitto dalla sua rilucente ferraglia: no, questo è piuttosto il testimone d’una dissoluzione delle regole del vivere civile che va ben oltre il caso isolato: non si potrebbe verificare qualcosa di similmente asociale – e rimanere sostanzialmente senza effetti – se un intero ambiente non ne sostenesse la possibilità. Provatevi ad immaginare una tale situazione, non dico nel Québec, ma anche solo a Gardone Riviera o a Torino e, perché no?, nella turistica Firenze. L’ardire poi di spacciatori – che dovrebbero ragionevolmente rimanere sepolti in oscuri anfratti, tremebondi nei loro tristi traffici – giunti fino all’uscire allo scoperto per dettar la regola della via pubblica, sta solo a significare che la via pubblica è diventata un oscuro anfratto sottoposto alla legge della delinquenza organizzata: che quest’ultima si sente sì forte – a torto o a ragione, ciascuno potrà, se crede, giudicare – da ritenere di poter emanare le proprie disposizioni per la vita civile. Quanto poi alla violazione plateale dell’ordinanza Manfredi da parte dell’intera città borgese, mi pare sia la fotografia – una pur bella fotografia, sul piano dell’arte pirotecnica – del baratro civico nel quale siamo tristemente precipitati: non s’avverte più – a nessun livello – cosa significhi rispettar le regole, la peggiore situazione, per quanto ne capisco, nella quale possa venirsi a trovare una comunità, cosiddetta organizzata.