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La proposta di De Luca e la promessa di sanzioni

Opinionista: 

Le linee programmatiche ribadite nello scorso fine settimana da Vincenzo De Luca per il suo quinquennio di governo della Regione confermano in lui una forma mentis pragmatica, forgiata sull’esperienza vissuta. Ha colto alcuni fondamentali problemi. Il primo dei quali, l’inerzia d’una burocrazia, ovviamente non solo regionale, la quale identifica il proprio compito nella frapposizione d’ostacoli formali tra l’iniziativa privata e la sua realizzazione. Legalità vuol dire in Italia paralisi ed, ovviamente, non solo: perché nella paralisi annida la deviazione, giacché per superarla è necessario trovare adeguati argomenti che motivino chi rallenta… E la proposta del neo-presidente della Giunta regionale di ridurre all’osso tutto quanto preventivamente si frappone – pareri, concessioni, autorizzazioni, nullaosta, e via dicendo – tra l’ideazione imprenditoriale e la concreta possibilità di portarla ad effetto, è certamente un obiettivo politico di tutto riguardo, direi quasi centrale. Si tratta d’attuarlo. E non è cosa da poco. Come anche l’osservazione molto esatta che tutta quell’occhiuta burocrazia, sempre pronta a inframmezzarsi tra la volontà di fare e la possibilità di attuazione, è singolarmente incapace di impedire gli sprechi e di controllare la spesa, dimostra che il Nostro ha punti fermi ad orientare la difficoltosa navigazione che l’aspetta. Si è anche dato un altro obiettivo, De Luca: il condono edilizio. L’idea va considerata senza pregiudizio e con spirito pragmatico. Per certi versi, De Luca ha sicuramente ragione: il volume edilizio abusivo in Campania – non solo in Campania, ma occupiamoci di noi – è pauroso. Si parla di circa 80.000 alloggi e molto probabilmente la cifra pecca non poco per difetto. Siamo assisi su d’una grande ipocrisia. Ma bastano anche i censiti 80.000 alloggi, per intendere come sia corretto pensare ad un condono edilizio: immaginare una demolizione – a tacer d’altro – significherebbe porre su solide basi una guerriglia, se non una guerra, civile. Quando i fatti sono troppo grandi, sono essi ad imporre la loro legge di realtà. Un condono servirebbe perciò anche a riallineare il diritto al fatto e toglierebbe d’imbarazzo anche la Giurisdizione, che sta lì ad emetter continue gride, invitando i Comuni alle demolizioni, e così coprendo, non tanto se stessa, ma l’intero Stato di ridicolo o, quanto meno, il che forse è peggio, discreditando le istituzioni circa la loro capacità di portare ad effetto i precetti della legge. In sostanza, minando alle basi lo Stato. Tutto questo è vero. Però, mi sembra, manchi qualcosa in questa proposta programmatica. È vero che quando s’è lungamente girata la testa da un’altra parte, fa ridere pensare che possa ristabilirsi la legalità: ed almeno, chi ha abusato, con il condono, pagherà un’oblazione, rinfrancando le vuote casse comunali. Ma è anche vero che bisogna pur provarsi a mettere la parola fine. E che la proposta di De Luca – difficilmente attuabile al solo livello regionale – dovrebbe essere accompagnata dalla promessa – meglio, dalla minaccia – di rigorosissime sanzioni, penali e demolitorie, per il caso di ulteriori violazioni. Ciò che massimamente difetta all’italiano, ed il meridionale non si discosta affatto da questa caratteristica, è il senso identitario: costruisco, tanto mi faccio casa e me ne infischio di deturpare ambiente e territorio. Se si continua – sulla fondata considerazione che ciò che è fatto è fatto – a parlar di condoni non accompagnando queste dichiarazioni con la prospettiva di adeguate sanzioni future, si perpetua quella mentalità che è la patologia più grave del nostro Paese: la legge si può violare, perché in un modo o nell’altro le cose si risolveranno. Che è vero, perché i fatti compiuti non possono eliminarsi, quando diventano troppo forti. E però sono proprio i ripetuti condoni – soprattutto, deleterio, l’annuncio dei condoni – a costituire la base della nostra inciviltà: la violazione delle regole sociali non si paga. Questo, De Luca lo sa e credo sappia che il suo più importante compito politico sia quello di far crescere, nei limiti del possibile, un certo senso della comunità. Su ciò si misurerà il suo contributo di politico.