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La Regione c’è e quindi va gestita

Opinionista: 

Continuo a pensare, al punto in cui son venute le cose, per la Campania sarebbe meglio che Vincenzo De Luca s’insediasse nel palazzo della Regione. Per meglio dire, sarebbe meglio che la Regione non ci fosse affatto ma tant’è, per ora bisogna prendere atto che è lì e va gestita. Il problema è che per realizzare questo avvento – si scusi l’irriguardosa assonanza – è necessario l’intervento d’un giudice pietoso o d’un legislatore coraggioso. Un giudice pietoso, il quale si faccia carico del pasticcio creato dalla politica e, giocherellando un po’ con le parole della legge, stabilisca che no, essa non s’applica al De Luca perché, chessò, è fatta per chi è già nella carica, non per chi vi accede unto dall’elettore; o perché, magari, c’è da invocare l’incostituzionalità della norma (che la Corte di cassazione, a sezioni unite, tre settimane fa ha ritenuto pienamente costituzionale). Ma forse sarebbe più corretto non tirar nella mischia il giudice e che a far qualcosa fosse un legislatore coraggioso: avendo il Matteo nazionale-segretario pd deciso d’acconsentire alla candidatura di De Luca, ben sapendo che la legge non gli avrebbe consentito d’esercitare la funzione, il medesimo Matteo nazionale-Presidente del consiglio dovrebbe, altrettanto responsabilmente, trasformarsi in legislatore d’urgenza e, con decreto legge, farla finita con questa pantomima da legulei improbabili e stabilire nelle forme quelle sì consentite dall’ordinamento, che il suo De Luca può esercitare l’ufficio di Presidente della giunta regionale della Campania. Non proprio una carica da bazzecola. Ed invece no, come sempre nel Belpaese le cose assumono un andamento ipocrita, sinuoso, infingardo. Si muovono pericolando tra cavilli paglietteschi e sotterfugi gattopardeschi. E così, il buon De Luca, ridicolizzandosi ad inizio carica, ha scelto di star lì a guardare. Per la prima volta nella storia di alte istituzioni al cambio della guardia, il candidato eletto non ha scambiato il suo posto con il predecessore; nemmeno tra Letta e Renzi era avvenuto, eppure non pare corresse tra i due gran simpatia. Sì, De Luca non s’è recato a Palazzo Santa Lucia per il passaggio delle consegne. Sembra sia dovuto all’acume di qualche sottile leguleio che gli avrebbe suggerito l’indecorosa mossa, perché così, non assumendo l’incarico, non potrebbe esser sospeso e guadagnerebbe tempo. Non male sul piano intuitivo, meno su quello teoretico, dove la tesi fa parecchia acqua, dato che per il diritto tutto quanto conta è la proclamazione avvenuta in corte d’appello, dalla quale seguono tutte le conseguenze. E qui la questione si fa un po’ come quella dinanzi alla quale si trovò l’asino di Buridano, finendo per non decidere un bel nulla. Perché se prendesse servizio da buon Presidente, De Luca rischierebbe il reato d’usurpazione delle pubbliche funzioni (per il quale è stato prontamente diffidato); se al contrario rimanesse in casa sua, quello d’interruzione di pubblico servizio. Un bel dilemma ed un venefico pasticcio, che spiega l’evidente nervosismo del neo-Governatore: non sapendo cosa di meglio fare, non esita a dare dell’imbecille a chi solleva obiezioni al suo agire. Dicono che ci si dovrà nel futuro adattare al suo rustico o forse, meglio, rusticano duellare. E siccome il nostro Paese costringe le persone civili a fare virtù d’ogni esperienza, sarà anche quell’abitudine una forma di disciplinamento. Purché al suo impegnativo frasario seguiranno anche impegnative ed utili azioni, poco male: abbiamo da tempo inteso che una raffinata educazione non necessariamente s’accompagna a chi occupa la sfera pubblica e con il suo esempio indirizza l’agre collettivo. Per il momento, però, dobbiamo registrare che i primi giorni dell’era De Luca stanno offrendo un’immagine delle istituzioni ispirata alla lzgica del tatticismo processuale: quello di chi, avendo torto, si nasconde dietro le procedure. Talora con successo, ma nel processo non nella politica.