La ricreazione è finita, ora bisogna pedalare
Oddio, e se fallisse? Se non ce la facesse? Se inefficienze e giochetti politici avessero la meglio? Insomma, se neanche Mario Draghi ci riuscisse che cosa potrebbe accadere? Sarebbero cacchi amari, come direbbero quelli che hanno studiato a Oxford e dintorni. È un’ipotesi che non andrebbe neanche presa in considerazione. Ci sarà un motivo se finanche Giorgia Meloni, che pure ufficialmente rappresenta l’unica opposizione presente in Parlamento, non ha finora profferito una sola parola contro il premier. Anzi, si è pubblicamente augurata che il tentativo dell’ex presidente Bce di portare l’Italia fuori dalla peggiore crisi dal secondo dopoguerra riesca, nonostante l’inaffidabile maggioranza che lo sostiene. Per forza: la leader di Fdi sarà anche all’opposizione, ma non si è mica bevuta il cervello. È la prima a sapere che se Draghi fallisse sarebbero davvero guai seri per l’Italia. Per tutti. Anche per lei, che è italiana come gli altri. Messa così, non ci sarebbe nulla da aggiungere. Eppure… Eppure tra i partiti della maggioranza - indubbiamente variopinta e variegata - non sembra esserci totale consapevolezza riguardo il punto di gravità raggiunto dalla crisi italiana. Dopo una primissima fase in cui la parola responsabilità era sulla bocca di tutti, da destra a sinistra, s’odono adesso alcuni sinistri scricchiolii che non annunciano nulla di buono. Intanto l’iperattivismo di lotta e di governo di Matteo Salvini. Sarebbe bene che il leader leghista si dedicasse a consolidare e guidare la svolta conservatrice del suo partito, lasciando governare chi lo sa fare (Giorgetti docet) e abbandonando la sua quotidiana ansia da prestazione. Stesso discorso per il Pd, dove lo scontro congressuale che si prepara, con l’obiettivo di far fuori Nicola Zingaretti, rischia di scaricarsi sull’Esecutivo. Non parliamo di M5S: dilaniato, diviso e balcanizzato, è il ventre molle della maggioranza. Pessimo, poi, lo spettacolo andato in onda sulla nomina dei sottosegretari: uno scontro tutto in una logica vecchio stampo, come se questo non fosse un Governo d’emergenza in piena pandemia. Qualcosa che non lascia presagire nulla di buono, anche perché trasmette l’immagine di un premier già ostaggio di partiti rissosi. Ecco, sarebbe il caso di riportare un po’ d’ordine tra i discoli per spiegare due cose facili facili. La prima è che se fallisce Draghi non è che ad andare a casa sarà lui e morto un papa se ne farà un altro, come tante volte è accaduto nei bizantinismi della politica italiana. Eh no, stavolta se fallisce Draghi andiamo a casa tutti. E sarà una casa dove a malapena resteranno le mura. Draghi è il migliore che abbiamo. Lo sanno tutti. L’immagine di un’Italia che non riuscisse a tirarsi su neanche con lui sarebbe devastante. Soprattutto per chi ci guarda dall’estero e deve prestarci i denari: quelli per comprare il nostro debito pubblico e quelli che dovremo investire per far ripartire l’economia reale, il famoso Recovery Fund. Per capirci: se Draghi fallisse, per una Nazione che ha perso da tempo la sovranità sul suo debito sarebbe la campana a morte. La seconda cosa da spiegare è che i partiti raccoglierebbero solo macerie. Dopo i fallimenti dei governi gialloverde e giallorosso che ci hanno portati a questo punto, centrodestra e centrosinistra hanno una sola possibilità se vogliono continuare ad avere un futuro: fare in modo che Draghi riesca al meglio nel suo tentativo di ricostruzione nazionale. Che inizino a pedalare allora. Comincino ad affrontare e risolvere i problemi per i quali l’Esecutivo è nato. Solo così potranno impossessarsi del dividendo politico che la partecipazione a quest’operazione gli garantirà. Diversamente, l’unica cosa che potranno spartirsi saranno le macerie. Che il popolo userà come pietre da tirare contro chiunque gli capiti a tiro. Occhio, la ricreazione è finita.