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La strage di via Pipitone: noi ricordiamo Chinnici

Opinionista: 

La mattina presto del 29 luglio 1983 a Palermo il cielo era sereno, senza una nuvola, spirava un leggero vento di nord-est e c’era una temperatura di 30 gradi, che, verso mezzogiorno, avrebbero raggiunto e superato i 40°. I palermitani cominciavano la loro giornata con la solita carica di ottimismo con cui affrontavano le difficoltà della vita mai immaginando che alle 8 e 35 di quella splendida giornata estiva sarebbe accaduto in via Federico Pipitone un fatto di inaudita violenza. Il Procuratore Capo di Palermo Rocco Chinnici venne dilaniato dall’esplosione dell’auto bomba imbottita di tritolo dai mafiosi. E la stessa fine fecero i due agenti della sua scorta Mario Trapani e Salvatore Bartilotta e il portiere dello stabile dove il magistrato abitava. Si salvò solo l’autista Giovanni Paparcuri, seduto al posto di guida dell’auto di servizio, ma rimase gravemente ferito. Una esplosione assordante e una fiammata accecante, simile a una eruzione vulcanica, straziarono i loro corpi. Saltarono in aria altre auto e il palazzo subì gravi lesioni. Dietro l’autobomba, che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico e anche una giustizia “sonnolenta”. Nato a Misilmeri il 18 gennaio 1925 Rocco Chinnici entrò in magistratura nel 1952 e fu destinato al Tribunale di Trapani. Dopo essere stato per dodici anni Pretore a Partanna venne trasferito nel maggio del 1966 all'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo come Giudice Istruttore. E presso lo stesso Tribunale venne promosso nel novembre 1979 Consigliere Istruttore. In questo periodo maturò l'idea di costituire un pool antimafia, chiamandovi a farne parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e altri coraggiosi magistrati. Il primo grande processo alla mafia, il cosiddetto maxiprocesso di Palermo, iniziato dopo la sua morte e concluso nel 1987, fu il risultato del lavoro istruttorio svolto da questo pool di magistrati. Chinnici aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia. E la mafia lo fermò. Un altro suo grande merito è stato quello di credere nei ragazzi perché è stato il primo magistrato che andava nelle scuole a parlare ai giovani di droghe e del ruolo della mafia nel traffico di queste sostanze di morte. “La mafia va combattuta anche per questa attività criminale che mette in pericolo la vostra vita. E anche voi giovani potete combatterla stando lontani dalle droge“ . Ma per ricordare il sacrificio di Rocco Chinnici nessun aeroporto, nessuna piazza e nessuna scuola e nessun albero gli sono stati dedicati. E nessuna nave, nessun treno, nessun pullman ha mai portato a Palermo gli studenti delle scuole di mezza Italia per “chiedere verità e giustizia sulla strage del 1983”. E nessuna cerimonia si è mai svolta per ricordare gli anniversari di quella strage. E nessun poster della sua immagine è stato mai esposto sulle facciate dei palazzi di Giustizia. In questo strano paese c’è chi diventa mito, come Falcone e Borsellino, e chi no. Tant’è che solo nel 2015 è stato pubblicato il libro “È così lieve il tuo bacio sulla fronte”, dedicato a un affettuoso Procuratore dalla figlia Caterina, magistrata ed europarlamentare. E che solo nel 2018 la Rai ha trasmesso uno sceneggiato tratto dal libro. Poi più nulla. Oggi ricorre il 37° anniversario della strage di via Pipitone e il “Roma” è l’unico giornale che, ogni anno, sente il dovere di ricordare Rocco Chinnici come un eroe nella lotta alla mafia. E di rinnovare la proposta di istituire una giornata della memoria dedicata a tutti i magistrati uccisi dalla criminalità mafiosa e terroristica.